La corte costituzionale non ha avuto dubbi: gli impianti di risalita a fune non sono mezzi di trasporto pubblico, ma attività commerciali funzionali alle piste da sci. Una decisione difficilmente contestabile, ma oltremodo sgradita ai gestori degli impianti, perché porta con sé la spiacevolissima conseguenza del pagamento dell’IMU, e quindi un ulteriore aumento dei costi, già alle stelle per i prezzi dell’energia e per la necessità di dotare le stazioni di impianti di innevamento artificiale. E poiché la vecchia ricetta di aumentare i prezzi non funziona più – il boom dello sci è un lontano ricordo, e l’affluenza dei turisti è in calo nonostante i flussi provenienti dall’estero – i gestori chiedono alla politica nazionale e locale di farsi carico del problema. “Il rischio – dicono – è quello di mettere in ginocchio centinaia di imprese del comparto neve e di contribuire a un ulteriore esodo dai territori in quota. La nostra montagna non può permetterselo”.
La richiesta è quella ricomprendere le stazioni degli impianti di risalita all’interno della categoria catastale E1, riconoscendo a queste strutture, sotto il profilo fiscale, la funzione pubblica di trasporto che hanno oggi. Accanto ai gestori si è schierato l’UNCEM. “Molti impianti – fa notare Lido Riba, presidente della delegazione piemontese – sono stati costruiti con l’apporto di fondi pubblici proprio perché si è riconosciuta la loro funzione di trasporto. Negare gli sgravi sarebbe un controsenso“. Sulla stessa linea il presidente nazionale Enrico Borghi, che è anche presidente dell’intergruppo dei parlamentari amici della montagna. “Non dobbiamo inventarci nulla – spiega – in molti paesi viene riconosciuta la funzione di trasporto pubblico degli impianti, anche perché in molti casi viene davvero svolta. Tornare alla situazione precedente non sarebbe una forzatura, ma semplicemente il riconoscimento di uno stato di fatto a livello europeo“.