Ha compiuto quaranta anni, ma non li dimostra, Novecento di Bernardo Bertolucci.
Presentata fuori concorso al festival di Cannes del 1976, questa opera monumentale arrivò nelle sale divisa in due parti, Novecento Atto Primo e Novecento Atto Secondo. Ne esiste anche una versione ridotta di quattro ore per il mercato americano, che però non ebbe molta fortuna. Tutt’altro discorso per le oltre cinque ore della versione originale, che ebbe un notevole successo di pubblico ed è entrata a buon diritto nell’elenco dei cento migliori film italiani.
Novecento racconta la storia di un secolo attraverso gli occhi di chi viveva nelle campagne emiliane. I due protagonisti, nati entrambi il 27 gennaio del 1900, sono Alfredo Berlinghieri, figlio di ricchi proprietari terrieri, e Olmo Daccò, figlio di una contadina e di un padre ignoto. Amici di infanzia, ma nemici per condizione di classe, dovranno affrontare le prove della grande guerra, delle lotte contadine, del fascismo, della guerra partigiana, della liberazione. E continueranno ad azzuffarsi, anche da anziani, negli stessi luoghi che li avevano visti crescere.
Robert De Niro, Gérard Depardieu, Burt Lancaster, Donald Sutherland, Dominique Sanda, Alida Valli, Stefania Sandrelli, Sterling Hayden sono soltanto alcuni dei componenti di un cast stellare, che Bertolucci seppe guidare con polso fermo, componendo attraverso i suoi personaggi uno dei più grandi affreschi della storia del nostro cinema.
Novecento regge alla prova del tempo, e anzi suscita qualche rimpianto, perché su alcune scene, come la macellazione del maiale, i giochi erotici tra due ragazzini e una violenza pedofila, oggi calerebbe probabilmente la stupida mannaia del politicamente corretto, ben più difficile da combattere del sequestro per oscenità e blasfemia che nel 1976 fermò per qualche mese la circolazione del film. E’ giusto dunque celebrarlo, come si accinge a fare il docufilm “Il tempo lungo”, in avanzata fase di realizzazione. L’idea è ottima: ritornare nei luoghi delle riprese e farseli raccontare dalle famiglie contadine che fecero da comparse, e in alcuni casi ispirarono il racconto. Tra i protagonisti ci sarà anche Demesio Lusardi, classe 1927, che nel film era Censo Daccò. Era uno dei contadini che lavoravano nella cascina Corte Le Piacentine, che Bertolucci scelse dopo un solo sopralluogo trasformandola per quindici mesi in un set cinematografico. E contadino è rimasto fino alla pensione, testimone di una terra e di un modo di vivere.