Nel corso degli anni l’amico e collega Gianni Castagneri è stato, tra le altre cose, consigliere comunale, assessore e sindaco di Balme, il paese dove vive. Ha lavorato per la comunità montana, si è occupato di un ecomuseo, ed è un grande appassionato di fotografia e di storia locale. I suoi libri e i suoi articoli corrono spesso sul filo del recupero e della difesa della memoria storica delle Valli di Lanzo. Per questo gli abbiamo chiesto di parlarci di uno dei luoghi simbolo di queste valli, il Pian della Mussa, dove attualmente gestisce la Trattoria Alpina. Ecco il suo racconto.
A volte, quando dico di abitare a Balme, chi vive un po’ fuori zona mi guarda con aria interrogativa. La password per accedere alla giusta collocazione geografica del luogo è “Pian della Mussa!”, che subito spalanca a dialoghi per me usuali, con scenari che si schiudono allora a diverse possibili affermazioni: «Ci andavo da bambino a fare i pic nic… Ci andava mio nonno in bici… Che acqua eccezionale, quella di Piazza Rivoli, quella imbottigliata, quella che va nello spazio… La Montanara, lassù per le montagne… Bel posto, peccato le strade… Che curve, con la moto… Ah, se Agnelli vi avesse investito, sai che piste… Ah, meno male che nessuno ha fatto le seggiovie, avrebbe rovinato tutto… Bisogna far pagare un pedaggio, è un patrimonio da salvare… Da quando si paga il parcheggio non ci vado più… Ce l’avessero in Trentino, un posto così… Quei testardi del posto non vogliono cambiare nulla, lei escluso ovviamente… E poi ancora, gli stambecchi, i fiori rari, le gemme di granato, la cicoria dei prati, il genepy e la genziana, la toma d’alpeggio, la polenta…!» Per molti, il Pian della Mussa è un’icona legata ad una di queste asserzioni, che pur nelle diverse incongruenze, dimostrano comunque un legame affettivo identificabile nel magnificare l’esistente oppure nel biasimare quel che manca o che non va. Ciò non toglie, nonostante tutto, che il Pian della Mussa sia stato in passato, e ancora lo sia, il giardino dei torinesi. Un luogo relativamente vicino che in poco più di un ora e senza costi autostradali, permette di sfuggire alla calura estiva, di andare a passeggiare nelle mezze stagioni, di lasciare le impronte delle ciaspole nei mesi invernali, di guardar le stelle sotto un cielo limpido. Un posto nel quale il selvatico e l’antropico si incontrano e non di rado dissentono, ma ciononostante riescono a convivere in un equilibrio nel quale uno non prevale mai smodatamente sull’altro. Per chi invece, come il sottoscritto, che su quel pianoro ha pascolato le mucche da ragazzino, ha provato a fantasticarne un miglioramento e oggi ha scelto di condurvi un’attività ristorativa, il Pian della Mussa è anche molto altro. E’ prima di tutto, cosa non da poco in questi tempi, un posto di lavoro, da svolgere oltretutto in un ambiente singolare. E’ poi il luogo degli affetti, dove le generazioni passate, dai nonni ai bisnonni e indietro di generazioni per quattro secoli, hanno affidato la sopravvivenza, le proprie speranze di vita e le quotidiane immani fatiche delle quali io, noi, siamo solo la più fortunata conseguenza. Questo non significa che il Pian della Mussa appartenga, almeno affettivamente, a chicchessia. E’ invece l’espressione autentica di un fragile “bene comune”, fruibile da chiunque con la dovuta consapevolezza e responsabilità. Una “montagna del cuore”, da conoscere e apprezzare per ciò che è e rappresenta e che, proprio per questo, saprà accoglierci ogni volta che ne sentiremo l’esigenza, regalando ad ogni visita emozioni uniche e irripetibili.