Non solo orologi a cucù

L’anno scorso, con un referendum che ha avuto una risicatissima maggioranza, la Svizzera ha deciso di stringere i freni sull’immigrazione di massa, rinegoziando con l’Europa i trattati sulla circolazione dei lavoratori stranieri . Ma anche il ricco paese di Guglielmo Tell e degli orologi a cucù deve fare i conti con un mondo che cambia. E la sua agricoltura ha bisogno di braccia che non trova tra i suoi giovani. Di qui la proposta dell’Unione dei Contadini di Svizzeri in accordo con la segreteria di stato sull’immigrazione di cui alcuni giornali hanno parlato nei giorni scorsi: un progetto pilota che ha tre obiettivi: dare lavoro e integrazione ai rifugiati che già si trovano in Svizzera, trovare manodopera per l’agricoltura, e sgravare delle finanze pubbliche. Il documento che illustra il progetto è un bell’esempio di pragmatismo. Ve lo proponiamo integralmente.

L’attuazione dell’iniziativa sull’immigrazione di massa, approvata lo scorso anno alle urne, richiede un migliore sfruttamento del potenziale offerto dai lavoratori indigeni. Anche le persone ammesse provvisoriamente e i rifugiati riconosciuti fanno parte di questo potenziale. Ora, soltanto un terzo circa di queste persone riesce ad accedere al mercato del lavoro durante i primi anni di soggiorno in Svizzera. Tra i motivi di questa difficoltà a trovare un impiego citiamo le conoscenze linguistiche insufficienti, l’assenza di una formazione professionale o il mancato riconoscimento in Svizzera di una formazione professionale conseguita all’estero, ostacoli amministrativi, difficoltà connesse alla migrazione e pregiudizi da parte dei datori di lavoro. Ogni anno, tuttavia, l’agricoltura occupa tra le 25 mila  e le 35 mila persone straniere, giacché nessun cittadino svizzero o quasi è disposto a svolgere questi lavori. I settori ad alta intensità di lavoro, quali l’orticoltura, la frutticoltura e la viticoltura, occupano un ingente numero di lavoratori, perlopiù per una durata determinata, durante la stagione di crescita e durante i picchi lavorativi quali il raccolto. Nella maggior parte dei casi questa manodopera proviene da Polonia e Portogallo.

Confederazione, Cantoni e Comuni hanno intensificato i propri sforzi per integrare celermente e durevolmente i rifugiati nel mercato del lavoro. Per farlo sono tributari dei datori di lavoro in diversi rami dell’economia. In quest’ottica, l’Unione Svizzera dei Contadini e la Segreteria di Stato della migrazione hanno sviluppato un progetto pilota di tre anni finalizzato a integrare i rifugiati nel mondo del lavoro dell’agricoltura. Al momento dieci aziende in tutta Svizzera partecipano al progetto. I rifugiati coinvolti hanno iniziato la loro attività nelle scorse settimane o la inizieranno più tardi nel corso dell’anno. Il progetto sarà monitorato e sviluppato costantemente così da individuare, nell’arco di tre anni, le condizioni generali necessarie e i fattori di successo determinanti per quanto riguarda le aziende, i rifugiati e le autorità cantonali. Il primo mese il salario mensile lordo è di 2300 franchi, mentre dal secondo mese i datori di lavoro versano ai rifugiati un salario conforme alle norme minime dettate dal contratto normale di lavoro, ossia, nella maggior parte dei Cantoni, 3200 franchi. Le aziende che partecipano al progetto pilota ottengono un’indennità mensile di 200 franchi per l’onere amministrativo supplementare, connesso in particolare con la valutazione svolta simultaneamente al progetto. Le aziende che offrono anche vitto e alloggio alla loro manodopera ottengono altri 200 franchi d’indennità mensile forfettaria.

L’esperienza dimostra che è senz’altro possibile integrare i rifugiati nel mercato del lavoro in ambito agricolo. Da vent’anni a questa parte, Margret e Andreas Eschbach occupano presso la loro azienda ortofrutticola di Fülinsdorf, oltre ad altri stranieri, anche rifugiati riconosciuti, cui desiderano offrire un’opportunità di guadagnarsi da vivere. In tutti questi anni hanno già versato salari ai rifugiati per oltre 2.5 milioni di franchi complessivi, contribuendo così in maniera ragguardevole a sgravare le finanze pubbliche. Tuttavia, come i rifugiati, anche gli agrcoltori devono confrontarsi con situazioni sfidanti: in certi Cantoni, l’assunzione d’impiego segna la cessazione immediata di qualsiasi appoggio da parte dello Stato: possibilità di dormire presso l’alloggio per richiedenti l’asilo, cassa malattia, vitto. Tutte queste spese devono essere coperte da subito con il solo salario. L’esperienza mostra quanto sia importante che tutti i servizi coinvolti collaborino tra loro.

Con il progetto pilota, l’Unione Svizzera dei Contadini e la Segreteria di Stato della migrazione si prefiggono diversi obiettivi: consentire a rifugiati e persone ammesse provvisoriamente di accedere al mercato del lavoro in ambito agricolo, di acquisire o sviluppare conoscenze pratiche e di consolidare le proprie conoscenze linguistiche. Le aziende agricole, dal canto loro, ottengono l’opportunità di reclutare manodopera locale, idealmente anche per impieghi reiterati sull’arco di più anni. Una buona integrazione nel lavoro concorre peraltro a sgravare le finanze pubbliche. Con il progetto pilota ci si propone di individuare le condizioni generali ideali e i fattori di successo atti a consentire un’integrazione riuscita dei rifugiati nel mondo del lavoro in ambito agricolo, mettendo in campo così condizioni ideali affinché tutte le parti coinvolte siano vincenti.

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