Non c’e’ pace per il Cermis

Foto TM News
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Un’altra volta. Ma non c’è mai requiem? Stiamo parlando dell’Alpe Cermis, in Val di Fiemme. Fino al 1998 la località sciistica era collegata all’abitato di Cavalese con una classica funivia bifune, divisa in due tronchi distinti. Il primo di questi, che partiva dalla periferia del paese, e precisamente da un promontorio a picco sulla Valle dell’Avisio, è tristemente famoso per due gravissimi incidenti. Il 9 marzo 1976, la fune portante dell’impianto cedette. 42 persone, tra cui ben 15 bambini, persero la vita in una delle due cabine. Una tragedia. Il 3 febbraio 1998, un velivolo del Corpo dei Marines degli Usa,  transitando a bassa quota lungo il solco vallivo colpì con la coda le funi sul lato est, tranciandole e  – grosso modo nello stesso punto di 22 anni prima – facendo precipitare la cabina con a bordo 19 passeggeri e il manovratore. Dopo il secondo disastro entrambi gli impianti furono sostituiti da altrettante cabinovie monofune a 8 posti. Da ultimo, il 4 gennaio scorso, una motoslitta con rimorchio si è ribaltata ad alta velocità lungo una pista ‘nera’, chiusa al transito nelle ore notturne, sbalzando fuori i passeggeri. Le vittime – quattro uomini e due donne, di nazionalità russa – sono precipitate oltre la rete di recinzione, cadendo in un dirupo alto un centinaio di metri. I quotidiani nazionali hanno dato ampio rilievo alla notizia. Tra tutti commenti, ci sentiamo di condividere quello che abbiamo ricevuto dal Consiglio direttivo di Mountain Wilderness Italia, che vi proponiamo.

«La tragica conclusione della cena nella malga sul Cermis suggerisce alcune considerazioni che vanno al di là del vivo dolore che tutti noi proviamo per la perdita immotivata di tante vite umane. È certo che, nel caso specifico, ci troviamo di fronte ad un fatale errore di valutazione del rischio da parte del conducente, il quale si è avventurato di notte lungo un percorso troppo ripido e insidioso, tra l’altro vietato alle motoslitte. Ciò però contribuisce a mettere in luce un problema di portata più ampia. Un problema che la nostra associazione tenta invano, da anni, di sottoporre all’attenzione degli amministratori locali, della classe politica, del Parlamento e dei governi del paese. Noi sosteniamo che sia necessario e inderogabile porre mano a una severa regolamentazione riguardante tutti i mezzi motorizzati che tutt’ora – d’inverno come d’estate – scorrazzano su e giù per le vallate alpine e appenniniche (siano essi motoslitte, quad, fuoristrada, elicotteri), al fine di limitarne  l’utilizzazione solo in casi di indubbia necessità e urgenza. Ci auguriamo che il tristissimo episodio del Cermis serva almeno a porre le autorità competenti di fronte alle proprie responsabilità, e le induca a rimettere in discussione, in modo serio e responsabile, il rapporto tra la montagna e la sua  frequentazione. In linea prioritaria per quel che riguarda la sicurezza, senza dubbio; ma anche per quel che concerne il progressivo appiattimento della proposta turistica all’interno di una dimensione banalmente ludica e commerciale. Le stereotipate proposte dei gestori del grande business delle vacanze inducono i turisti a considerare la montagna tutt’al più come un fondale pittoresco, posto docilmente al servizio del loro effimero desiderio di divertirsi. Un grandioso luna park in cui si possono sperimentare, a prezzi variabili, varie simulazioni del rischio, stoltamente convinti di non rischiare nulla. Poi, a volte, ci si sveglia di colpo con le ossa rotte, magari sul fondo di un precipizio; e di questa mancanza di fair play si accusa irresponsabilmente la montagna “cattiva” che non ha voluto stare al nostro gioco.

Predicare, come Mountain Wilderness fa da oltre due decenni, la cultura del rispetto, dell’autenticità e dell’attenzione, dell’umiltà e del silenzio, significa preservare  la vera vocazione delle montagne, per permettere a chi davvero ne sente il bisogno interiore di ritrovare una parte perduta di se stesso attraverso il contatto diretto ( anche se duro e faticoso) con una dimensione naturale incontaminata, autentica in ogni suo aspetto. Riconquistare il “senso” profondo di simili esperienze può anche contribuire a salvare molte vite».

 

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