Noi e il Nepal

Come era facile prevedere per la violenza dell’evento e per la mancanza di comunicazioni con molte delle zone colpite, il bilancio del terremoto che ha colpito il Nepal diventa ogni giorno più grave. Le vittime accertate finora sono 4500, ma secondo il premier nepalese Sushil Koirala potrebbero essere oltre diecimila. E mentre proseguono le scosse di assestamento i superstiti devono fare i conti con le case distrutte, la mancanza di cibo e medicinali, il rischio di epidemie. Il Nepal ha chiesto l’aiuto della comunità internazionale, ma l’arrivo dei soccorsi è frenato dalle difficoltà di accesso. L’aeroporto di Kathmandu, unico terminale possibile dei ponti aerei,  è intasato, e alcuni voli non hanno potuto atterrare.

In tanto disastro sembra quasi stonata la grande attenzione dedicata da giornali e televisioni  a quello che è accaduto alla variegata tribù degli alpinisti e dei trekker. Lo ha fatto notare tra gli altri il grande alpinista e conoscitore del Nepal Reinhold Messner,  puntando il dito contro i soccorsi di seria A e quelli di serie B. Di molti occidentali, compresi quaranta  italiani, non si hanno ancora notizie. Ma alcune vicende, come quella dei quattro speleologi che erano partiti per esplorare nuove grotte e portare la loro concreta solidarietà ai locali  che avevano incontrato nel corso dei loro precedenti viaggi,  sono davvero emblematiche. Due di loro, Oscar Piazza e Gigliola Mancinelli, sono stati travolti da una frana e non ce l’hanno fatta.  E non ce l’hanno fatta  neppure gli alpinisti Renzo Benedetto e Marco  Pojer, ai quali è stata fatale una valanga che li ha investiti perché lungo il percorso avevano fatto una deviazione per consegnare medicinali a una famiglia nepalese. Gruppi diversi, la stessa passione e lo stesso rispettoso atteggiamento di amicizia verso un paese da conoscere per i suoi usi e i suoi costumi prima ancora che per le vie di salita alle sue meravigliose montagne.

Non sempre, e non per tutti, è così. Molti, soprattutto tra gli sportivi estremi, considerano l’Himalaya  una palestra per le loro imprese, e le popolazioni locali semplici comparse da sfruttare per i propri fini. Le recenti tensioni tra i portatori d’alta quota e le spedizioni commerciali che li ingaggiano, e le polemiche per i rifiuti abbandonati in quota, dimostrano che sul tetto del mondo non tutto sta andando per il verso giusto.

In Nepal, nei prossimi anni, nulla sarà più come prima. Le priorità per gli occidentali che torneranno dovrebbero essere  gli aiuti per le popolazioni locali così duramente colpite, non le scalate. Ma chissà se sarà davvero così.

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