di Linda Cottino – Ripartono il 5 aprile. E ricominciano là dove il filo delle loro salite himalayane si era interrotto: sul Kangchenjunga, la terza montagna più alta della terra, al confine tra Nepal e India.
«Un posto bellissimo» mi ha detto Nives al telefono. «Un luogo in cui è fantastico andare anche solo per guardare, per camminarci dentro».
Lei è Nives Meroi, lui Romano Benet, cordata in montagna come nella vita, vero e proprio simbolo dell’alpinismo fatto in coppia.
Ogni volta che parlo con Nives e Romano, ciò che più di ogni altra cosa mi rimane impressa è un senso di normalità, di calma. Niente strepiti, nessun inciampo nel sensazionale. Come se in quel che fanno non ci fosse un solo granello di difficoltà. Come vi siete preparati? ho chiesto. Immaginando che dopo la pausa forzata di due anni, dovuti alla malattia di Romano e al tempo della cura, fosse stato necessario un allenamento particolare. «Al solito nostro modo un po’ rustico» è stata la risposta. Il che significa tanta corsa e tante salite sulle Alpi di casa loro, Giulie e Slovene.

Ripenso alla prima volta che incontrai Nives, in un bar di Tarvisio, sarà stato il 1999 o il 2000. Lei non era ancora conosciuta, aveva lasciato un lavoro normale per tentare di vivere di solo alpinismo ed era alle prese con la ricerca di sponsor. Pareva che tutti le chiedessero soprattutto di essere “carina”, più velina che sportiva. E lei si prendeva le sue belle arrabbiature. Di anni ne sono passati un bel po’; con Romano ha salito undici delle cime alte più di ottomila metri, in alcuni casi compiendo imprese degne di nota, come nel 2003, con la salita di tre ottomila in un’unica spedizione, e arrivando a un certo punto – quasi senza volerlo – a far parte del trittico di donne in procinto di completare la fatidica collezione dei 14 ottomila. Poi la malattia di Romano ha sparigliato le carte. Il loro “quindicesimo ottomila”, come l’hanno definita i due alpinisti, che è come se avesse preservato Nives da una competizione (peraltro un tantino ipocrita) che nulla aveva a che fare con lo spirito delle loro salite – in totale autonomia, spesso in solitudine come sul K2, perlopiù in silenzio. Ora ripartono. «Vedremo come andrà, non ci prefiggiamo traguardi particolari» precisano. Come sempre liberi, forse questa volta un po’ più poveri. «Dopo due anni di inattività, non siamo più un prodotto da vendere» ha precisato Nives. «E così ce ne ripartiamo in economia, col vantaggio che saremo pressoché irrintracciabili, con appresso solo un telefono satellitare e senza obblighi mediatici».
Che bello il loro alpinismo slow.
- Verso il Lhotse (archivio Meroi-Benet).