di Victor Serge – “Dall’ultima volta che sono venuto giù dai boschi sono cambiati tre presidenti, Eltsin, Putin e Medvedev”. Così racconta Jura, un pescatore dagli occhi slavati che il francese Sylvain Tesson ha incontrato durante un soggiorno di sei mesi in una capanna sulla riva del lago Baikal. La storia di questo eremitaggio è diventata “Nelle foreste siberiane”, un libro pubblicato in Italia da Sellerio. Una lettura che ci sentiamo di consigliare per le vacanze di fine d’anno.
Tesson non bara. Resta davvero solo nella capanna di tre metri per tre, dove arriva a febbraio con temperature medie attorno ai trenta sotto zero, e tutto dipende da una stufa e dalla capacità di tagliare legna sufficiente per riscaldarsi. D’inverno rompe il ghiaccio del lago per pescare e per dissetarsi, arranca lungo le rive combattendo con la neve farinosa trasportata dal vento, si inoltra nei boschi, fuma e tracanna vodka e birra come un vero siberiano. Con il disgelo trova la compagnia di due cani, osserva gli orsi, scopre i piaceri della canoa e scala montagne, senz’altro scopo che quello della esplorazione.
E tuttavia il suo è un eremitaggio anomalo, punteggiato di incontri e arricchito da variegate letture. Le riflessioni non sono quelle introspettive dell’eremita. Tesson guarda piuttosto ai piccoli gruppi di uomini che “stanchi di abitare in città sovraffollate che per essere governate richiedono un numero sempre crescente di regolamenti, incapaci di sopportare la piovra amministrativa e le nuove tecnologie che invadono tutti i settori della vita quotidiana, prevedendo il caos etnico e sociale che deriverà dall’espandersi delle megalopoli, potrebbero decidere di abbandonare le aree urbanizzate per tornare nei boschi, dove ci liberiamo di ciò che è ingombrante, gettiamo la zavorra dall’aerostato della nostra vita. Ed ecco che lo sguardo affettuoso posato sul coltello, sulla teiera e sul lume si trasmette alle sostanze, agli elementi: il legno del cucchiaio, la cera delle candele, la fiamma. Ti amo, bottiglia; ti amo, temperino e amo te, matita di legno, e te, mia tazza, e anche te, mia teiera che sbuffi come un vascello sfasciato. Fuori il vento e il gelo infuriano a tal punto che questa capanna rischierebbe di crollare se non la riempissi con il mio amore”.
Un po’ retorico? Forse. Però si legge con grande piacere, e dopo poche pagine ci si abitua allo stile e al modo di pensare dell’autore, che ci accompagna lieve, senza nessuna pretesa che non sia quella di raccontare, attraverso le 250 pagine della sua fatica.
Del resto, non è un caso che Tesson sia uno degli autori di reportage di viaggio più amati oggi in Francia, e che questo libro abbia vinto il prestigioso premio Médicis 2011.