di Alfio Bessone – Era appena uscito “Senza rete”, il pezzo che avevo scritto per Segnavia54, e due-tre giorni dopo mi sono trovato protagonista della dimostrazione di come certi angoli di montagna continuino, loro malgrado, ad essere lontani dalla tecnologia, dal Web e anche dalle possibilità di comunicare col cellulare.
Era di mercoledì. Dopo pranzo il tempo s’è rasserenato e il cielo è tornato azzurro dopo giornate grigie e nuvolose. Ho preso con me il cane e sono salito fino all’alpeggio, per vedere come stavano le cose lassù, anche perché vacche e margari non erano ancora saliti. Ero quasi arrivato, ma mi sono fermato per sistemare le assi di un ponticello, smosse dalla neve dell’inverno. Più giù, due puntini colorati salivano veloci verso la conca, e neanche dieci minuti dopo me li sono ritrovato al fianco. Due ragazzi sui trent’anni, vestiti come avessero una divisa: pantaloni sintetici e aderenti fin sotto il ginocchio, maglietta attillata rossa sgargiante, scarpette verdi fosforescenti, orologi da polso che dovevano essere quasi dei computer. Mi hanno chiesto delle indicazioni, perché avevano lasciato la cartina in macchina, alla fine della strada asfaltata.
Uno di loro continuava a borbottare. «Non prende» diceva. «Non prende, devo spostarmi». E agitava nell’aria un cellulare di ultima generazione, che non avevo mai visto prima.
«Ma no, è inutile» gli ho risposto, «quassù i cellulari non funzionano proprio, bisogna affacciarsi sopra quel salto di rocce che s’intravede appena, qui siamo troppo nascosti».
Mi ha guardato con due occhi grossi così. Non capiva se scherzavo o se parlavo sul serio, e mi è sembrato anche un po’ nervoso.
«Lascia perdere» gli ha sussurrato l’amico, «guarda che ha ragione lui. E poi hai visto che non funziona neanche la chiavetta. Ho fatto diversi tentativi, prima di salire, e alla fine ho nascosto il portatile sotto il sedile della macchina. Siamo in uno di quei posti sfigati dove sei tagliato fuori dal mondo».
E io: «Be’, pensate un po’ che voi siete qui per divertirvi, ma d’estate c’è gente che sta lì in quell’alpeggio per tre mesi. E hanno anche un ragazzo di sedici anni, che per parlare con gli amici deve spostarsi fin sopra i roccioni. E meno male che ha le gambe buone. Certo che se dovesse capitare qualcosa… Prima di riuscire a chiamare soccorso dovrebbe farsi una bella corsa. Sempre che ci sia luce, perché di notte, anche con la pila in mano, c’è il rischio di scivolare di sotto».
«Ma io avevo letto su una guida che tutto il sentiero fino all’alpeggio aveva la copertura per il cellulare: il simbolino introduttivo indicava addirittura tre tacche. Vatti a fidare… Magari chi ha compilato l’itinerario aveva un altro gestore telefonico».
«Non so, ma qui credo che le cose siano sempre state così, come una volta. Comunque, guardate che non è una novità: fin che si domina a vista il fondovalle, bene o male il segnale arriva, ma appena ci si allontana, è finita, silenzio assoluto. Una volta uno che aveva l’aria di saperla lunga mi ha detto che ci vorrebbe un satellitare».
«E quindi, niente chiamate, niente di niente».
«Proprio così».
«Possibile che non ci sia un cartello che avvisi chi viene su? Tu parti tranquillo da casa e pensi: tanto ho il cellulare. Ma qui non serve a niente, è come non averlo. Roba da trogloditi».
«Almeno ve ne siete resi conto. E fin quasi in paese, niente Adsl. E abbiamo un bel dirlo: non ci ascolta nessuno. Forse perché alla fine, fatti due conti, in tutta la parte alta della valle non ci saranno più di 300 persone. Magari non conviene. E allora… E poi continuano a dire che bisogna fare una politica utile per la montagna. Tutte balle. Ah, ma è inutile che il tuo amico continui a provare: qui, salvo qualche angolino, è così dappertutto. Se deve proprio telefonare e avere un buon segnale, è meglio che scenda in basso, alle ultime frazioni, più o meno dove finisce l’asfalto. Si faceva così anche quando c’erano solo i telefoni fissi. Non è cambiato granché, come vedete. E mi sa che non cambierà ancora per un bel po’. Volete favorire un sorso di vino?».
«No, grazie, non beviamo. Saliamo fino all’alpeggio e poi torniamo indietro. Salve».