di Maria Rosa Fabbrini – Della piccola borgata rimane solo la grande vasca di pietra, il bachàs, dove si faceva il bucato, si portava il bestiame ad abbeverarsi o si prendeva l’acqua. Le case, svuotate dagli abbandoni e distrutte dal gelo di troppi inverni, sono ormai irriconoscibili: qualche perimetro con resti di muri in pietra, invaso dagli alberi e intralciato da arbusti e rovi. Gli ultimi ad andarsene sono partiti per l’America nei primi decenni del Novecento. Così racconta chi è rimasto nelle altre borgate.
La rete di sentieri che attraversa il bosco custodisce una spessa memoria di vita e fede. È terra valdese, questa. Terra di secolari persecuzioni subite dagli “eretici” da parte del governo sabaudo. Qui, come in tutte le Valli valdesi – Pellice, Chisone e Germanasca –, i Pastori (non di pecore, ma di anime) hanno incessantemente percorso i viol (sentieri), per mantenere salda la fede della comunità. Ricorda la mamma del Pastore Georges Appia (1827-1910) «(…) quando arriva la sera, alle 7, prende la sua piccola lanterna e va a tenere riunioni sulle nostre montagne… Il lunedì va nel bosco a predicare a dei carbonai, che accorrono ad ascoltarlo. Ritorna tra le 10 e le 11 di sera. È già una predicazione per loro vedere questo Ministro venire di notte con ogni tempo, anche da lontano, unicamente per amore delle loro anime».
Ma il bosco porta memoria di altri passi ancora: quelli dei maestri e poi delle maestre che raggiungevano le piccole scuole quartierali (una per ogni borgata) in cui veniva fornita un’istruzione di base. Si utilizzavano, nel Settecento, locali di fortuna, spesso stalle. Ma a partire dal 1829, grazie all’iniziativa e al contributo economico del più famoso tra i benefattori dei valdesi, il generale Charles Beckwith (1789-1862), furono ristrutturati e costruiti nelle diverse borgate delle Valli edifici scolastici, semplici e ariosi, in alcuni casi provvisti di un alloggio per il maestro. La comunità locale veniva coinvolta e così si creava un legame molto forte tra gli abitanti e la loro scuoletta che non era solo il locale dove si svolgevano le lezioni, ma anche sede di riunioni di culto o di attività varie. Erano piccole scuole, aperte per pochi mesi l’anno, destinate ai più poveri, a quelli che dovevano fin da piccoli lavorare duramente per sopravvivere. I tanti emigranti che a partire dai primi decenni dell’Ottocento andarono in Francia e poi nelle Americhe, furono avvantaggiati da quel bagaglio culturale conquistato nei pochi mesi invernali.
In mezz’ora di camminata incontro due scuolette. O meglio, quel che resta di loro. Una ha ormai un’altra destinazione d’uso e serve come ricovero di macchinari agricoli; l’altra si erge nel cuore della borgata su una piccola altura; sparita ogni traccia del viottolo, per raggiungerla bisogna inerpicarsi tra grovigli di tronchi e rovi o attraversare i lavori in corso della casa sottostante. Testimone senza gloria, offre all’emozione del ricordo un unico banco polveroso e calcinacci sparsi. Per fortuna non è così ovunque perché in altri luoghi la cura della Chiesa valdese per i luoghi storici ha preservato dal degrado alcuni di questi piccoli edifici.
Ripenso alle parole che Beckwith scrisse il 24 marzo 1834 al pastore George Muston di Bobbio Pellice: «Se nella vita futura incontrerò una sola vecchierella e due fanciulli ai quali saranno stati utili le mie seminagioni, mi stimerò ricompensato per tutti i sacrifici che ho fatto in favore di quelle “università delle capre”, ove il poco che s’insegna è assolutamente vero ed assolutamente buono…».