L’insuccesso dà alla testa

Torino e Milano si contendono il salone del libro. Il compromesso che sembra delinearsi prevede una divisione della manifestazione, che qualcuno, memore di quanto è accaduto a suo tempo con Settembre Musica trasformata in Mito, si è affrettato a ribattezzare Tomi. Sulla vicenda  pubblichiamo un intervento di Orlando Perera, storico conduttore del telegiornale del Piemonte, che ha seguito le vicende del salone torinese fin dalla sua prima edizione.

L’insuccesso ci ha dato alla testa. Non trovo parole migliori di quelle di Flaiano per definire l’entusiasmo (poco convinto, va detto) con il quale si pretende di salutare la soluzione individuata al termine dell’incontro a Roma tra i Ministri Franceschini, cultura, Giannini, istruzione, sindaci di Torino e Milano, Appendino e Sala, presidente del Piemonte Chiamparino, presidente dell’Associazione Editori Motta, presidente in pectore della nuova Fondazione Massimo Bray, e non so chi altro. A molti pare invece che la montagna abbia partorito un topolino tanto esile, quanto ambiguo. Secondo la mediazione politico-diplomatica individuata dallo stesso Franceschini per mettere fine alla guerra non dichiarata, ma devastante, tra Milano e Torino, il Salone del Libro sarà unico, con un unico vertice, si svolgerà nelle stesse date, ma con due sedi, sul modello del Festival musicale MiTo. A differenza di questo, si prevede però una netta distinzione di competenze, ruoli, offerta. Tutto differenziato, sia pure all’interno dei paletti piantati da Franceschini: nessun evento dovrà prevalere sull’altro, e soprattutto Torino – come ha detto il Ministro – “non sarà il fuori-salone di Milano” (il contrario non è, va da sé, immaginabile). Non uguaglianza ma equivalenza, ha sintetizzato Chiamparino.

Come tutti questi encomiabili proponimenti si andranno a realizzare in concreto, sia in termini giuridico-legali di governance, sia sul mix tra i contenuti commerciali e quelli culturali, nessuno lo ha detto, anche perché con tutta evidenza al momento nessuno lo sa. Il compito, poco invidiabile, di sbrogliare la matassa è stato affidato a un gruppo di quattro “saggi” composto dallo stesso Bray, da Renata Gorgani, direttore editoriale dell’Editrice il Castoro, ora Presidente della Fabbrica del Libro S.p.A, la new company incaricata di organizzare la nuova Fiera del Libro di Milano, da Rossana Rummo, già direttrice dell’Istituto Italiano di Cultura di Parigi, Direttore generale delle Biblioteche del Ministero dei Beni Culturali, e da Arnaldo Colasanti per conto di quello dell’Istruzione. Tutte persone di grande competenza e intelligenza, che mi passeranno la battuta: se fossero davvero “saggi”, mai e poi mai avrebbero accettato di cacciarsi in questo ginepraio…

Battute a parte, è il caso di mettere a fuoco alcuni dati oggettivi. L’incontro di Roma è stato tutto meno che un successo per Torino, direi piuttosto la certificazione ufficiale e timbrata dal governo di una perdita secca: il Salone Internazionale del Libro di Torino non c’è più. Solo il sentir dire che il salone si farà “anche” a Torino a me pare già un’umiliazione. Per addolcire questa realtà dolorosa, e in qualche modo inaccettabile, si cerca ora di recuperare qualche brandello di merito, qualche contenuto oggettivo che dia un’illusione di continuità. Ma appunto, si tratta allo stato di un’illusione, se solo si gratta un po’ la superficie delle dichiarazioni ufficiali. Già con il riferimento a MiTo si parte male: uno dei limiti più gravi del – fino ad oggi – più importante Festival musicale italiano era proprio l’ingiustizia distributiva tra Torino e Milano, tanto che si sosteneva con qualche ragione che a Milano si facessero i concerti più prestigiosi, a Torino quello che avanzava. La nuova gestione di MiTo, la Presidente Anna Gastel, e il direttore artistico Nicola Campogrande, hanno infatti concepito un programma di assoluta parità distributiva fra le due città, stessi concerti, stessi, stessissimi programmi, un giorno a Torino, l’altro a Milano e viceversa. Di cosa stiamo parlando? Dell’esperimento, lanciato nel 2007 per salvare il vecchio Settembre Musica e suddividerne i costi ormai insostenibili, e che purtroppo ha poi mostrato la corda proprio sul piano dell’oggettivo, differente peso specifico esercitato sulla programmazione dalle due città. E ora sull’editoria si pensa di uscire dalle peste con lo stesso metodo sbagliato di dividere peso e ruoli?

Non solo, ma lo scambio di spettatori fra le due realtà di MiTo è stato sempre poco più che simbolico, e a poco – quasi nulla – sono serviti persino i servizi di navetta organizzati lodevolmente per un certo periodo allo scopo di facilitare i trasferimenti dei musicofili torinesi a Milano e viceversa. Ora leggo che a Milano dovrebbe essere affidato il compito fieristico-commerciale, il business insomma, e a Torino quello della promozione culturale, gli incontri, le conferenze, le iniziative con le biblioteche, le scuole, le associazioni. Mi chiedo (e farebbero bene a chiederselo gli speranzosi mediatori) quanti dei visitatori della Fiera milanese, dopo essersi aggirati fra grandi stand di grandi editori, sentiranno il bisogno di imbarcarsi (lo stesso giorno, il giorno dopo?) su un treno sia pure ad alta velocità per venire a Torino a seguire dibattiti di alto profilo? Quanti?

E ancora, chi ci sarà a Torino del mondo, non vastissimo ahimè, dell’editoria italiana, visto che tutti i più grandi, Mondadori-Rizzoli e Mauri-Spagnol (Longanesi, Garzanti, Guanda eccetera), presidieranno appunto Milano per loro dichiarata scelta strategica? I piccoli e medi? Solo i piccoli, temiamo, perché i medi, a loro volta, faranno due conti. Di fronte al bacino di cinque milioni di utenze potenziali offerti da Milano, contro i due di Torino, cosa sceglieranno? Andremo incontro a un “salone” senza stand (!) – che sarebbe per forza di cose Torino – come suggerisce un euforico medio-editore, Giuseppe Laterza? Non nascondo il disagio che ispirano i suoi toni entusiastici sulla mediazione ministeriale. Figura di prim’ordine per nome e per ruolo nella cultura italiana, protagonista nella storia dell’editoria, cade qui sotto il sospetto di un tributo indebito alla demagogia, e mi perdoni Dottor Laterza, a un’inattesa ambiguità. Ma davvero è convinto di quello che dice? Davvero è sicuro che “La politica… è stata indispensabile per una mediazione al rialzo?”. Sembra quasi che il nostro, lodevole difensore fin dalla prim’ora del salone torinese, abbia tirato un sospiro di sollievo, come a dire, ho fatto il mio dovere, adesso posso serenamente portare i miei libri a Milano e magari venire poi a Torino a esibirmi in qualche dotto pistolotto in qualche dotto convegno, tanto per dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Mah.

Mi spiace tracciare un quadro così negativo, ma non riesco a fare di più e trovo poco costruttivo che si tenti di contraffare la realtà nascondendo, forse prima di tutto a se stessi, i dati oggettivi che ho tentato di riassumere. Qualcosa bisognava fare certo, non si può lasciare che tutto crolli senza neppure cercare qualche puntello. Ma per favore basta con le anime belle, i confetti di notizie colorati e senza la nocciolina dentro, ovvero involucri vuoti. Voltaire è morto, Candide pure e sicuramente il salone del libro di Torino non si sente affatto bene.

Orlando Perera

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