Ci possono essere – e probabilmente ci sono – buone ragioni giuridiche dietro la decisione del tribunale che ha sancito la libertà di panino nelle scuole torinesi. D’ora in poi chi vorrà potrà rinunciare a un servizio mensa che ritiene inadeguato per i costi o per la qualità, aggiungendo nei già pesanti zainetti dei pargoli il cibo preparato in casa. E le scuole, che si sono sempre dette contrarie, dovranno mettere a disposizione degli alunni i locali per consumare i pasti casalinghi.
Non è sempre detto però che le ragioni giuridiche tengano conto di tutti gli aspetti del problema. E accade a volte che una sentenza possa essere giustificata, ma si adatti male alla complessità di una questione.
In discussione a Torino non ci sono soltanto la libertà di panino, ma anche due opposte visioni della scuola pubblica, e dei suoi compiti. Che per alcuni devono essere improntati a un modello educativo rispettoso delle diverse identità, ma anche formativo perché basato su una comune idea di cittadinanza, e dunque con regole chiare e valide per tutti. Mentre per altri la scuola è soltanto un servizio, simile a tanti altri e dunque sostituibile se i privati, nella versione minima delle amorevoli mani della mamma che prepara il panino, o in quella assai più complessa delle scuole confessionali abbondantemente finanziate dal denaro pubblico, possono fare di meglio.
Ma chi giudica questo meglio? I bambini, di fronte alla alternativa verdure della mensa o hamburger di McDonald non avranno dubbi, ed è probabile che non ce l’abbia neppure una parte dei genitori. E’ però lecito dubitare che la scelta Mc Donald sia alla lunga la migliore. E che cosa accadrà nel refettorio quando il bambino ricco sfodererà un piatto appetitoso e calorico, e quello povero un triste panino con la mortadella? Infine, come dovrebbe comportarsi un insegnante di fronte a questa evidente disparità, visto che la sua presenza in mensa è parte del normale orario di lavoro, e tra i suoi doveri c’e’ anche quello di combattere discriminazioni e ingiustizie?
Dalla politica per una volta, sono arrivate parole di buon senso. “Non esiste un diritto costituzionale al panino – ha detto l’assessore regionale alla sanità Saitta – prima vengono l’equità e la salute. Siamo dalla parte di chi utilizza il sistema della mensa pubblica, rispettando i diritti di una minoranza ma dicendo chiaramente che abbiamo il diritto e il dovere di difendere la maggioranza che utilizza il sistema della mensa pubblica. Se c’è un problema di tariffe, di qualità, di gradimento del servizio possiamo incrementare le attività di verifica e controllo e siamo disponibili a un confronto con i genitori. Ma bisogna sapere che di fronte a noi c’è il rischio di rompere il principio della solidarietà in nome dell’individualismo mettendo in moto un meccanismo che sarà difficile da arrestare e che dalla mensa pubblica potrà intaccare altri servizi di carattere generale finendo con il far prevalere gli interessi dei più forti”.
Parole belle e,come spesso accade, inascoltate, almeno a giudicare dalla netta prevalenza di commenti positivi alla decisione del tribunale. Si può sperare in una diversa decisione della corte di Cassazione o in un intervento a livello di governo. Ma negli anni del trionfo del “privato” i diritti collettivi piacciono sempre meno. La parola d’ordine “libero panino” è soltanto l’ultima di una serie che si allunga insieme ai cambiamenti, non tutti positivi, della nostra società.