Le montagne di Manara

di Roberto Mantovani e Margherita Griglio – Milo Manara, uno degli interpreti più grandi del Graphic Novel (ma Hugo Pratt, l’inventore di Corto Maltese, preferiva parlare di “letteratura disegnata”), è attratto dalle montagne ma le teme. È capace di inebriarsi di fronte a una grande parete, seguendo i giochi della luce sulla roccia, ma i suoi sguardi durano solo qualche manciata di secondi. Sui suoi occhi, lo spettacolo della natura ha effetti devastanti. Colpa della sindrome di Stendhal, l’insopportabile sensazione di malessere che non risparmia le persone troppo sensibili alla bellezza e che si traduce in panico, tachicardia e vertigini.

Mica uno scherzo, per chi è nato con le Dolomiti impresse sulla retina. Perché Manara, classe 1945 e residente in Valpolicella, a un tiro di schioppo dal Lago di Garda, ha trascorso l’infanzia a Luson, in Valle Isarco, dove lo skyline è tutta un’altra cosa rispetto alla linea dei capannoni industriali della pianura padana. Ma certe patologie, evidentemente, si mettono in moto solo con gli anni. «In ogni caso, oggi le Dolomiti riesco a guardarle solo per pochi secondi, poi devo per forza distogliere lo sguardo» racconta l’artista, che si attarda con noi per dichiarare tutta la sua ammirazione per alcune delle pareti dolomitiche più imponenti, come la nord del Cristallo o la sud della Marmolada. «Però da bambino, ancora prima di imparare a leggere» confessa, «quelle cime sono entrare a far parte del mio immaginario grazie a due libri straordinariamente belli. Due libri di leggende, di Karl Felix Wolff, Il Regno dei Fanes e I Monti Pallidi. I miei fratelli me li leggevano ad alta voce, e io lasciavo correre la fantasia. Al punto che ancora adesso continuo a immaginare le Dolomiti come luoghi di meraviglie e contenitori di leggende. Insomma, alla bellezza delle crode, nella mia mente si aggiunge il fascino di quei racconti».

Dobbiamo dedurne che il rapporto tra Manara e la montagna si esaurisce nei massicci corallini del nord est d’Italia? «Niente affatto. Con gli anni la fascinazione dei Monti Pallidi s’è estesa a tutte le montagne del mondo. Che a volte sono diversissime tra loro ma hanno comunque qualcosa che le accomuna. Cosa? Credo una propensione al misticismo. Forse è per questo motivo che creste, cime e pareti sono entrate nei miei albi. Penso ad esempio all’Uomo delle nevi, con testi di Alfredo Castelli e disegni miei, uscito per l’editore Sergio Bonelli. È un albo che racconta di ambienti selvaggi, molto legati al misticismo, ai monasteri lamaisti, al mistero. Ma sull’argomento Himalaya m’è capitato di tornare in diverse altre occasioni».

Tornando alla sua “letteratura disegnata”, nel 1997 un suo bozzetto realizzato per il manifesto ufficiale del Trento Filmfestival fu bocciato perché ritenuto troppo audace. La sua idea di montagna di Manara è proprio incompatibile con quella della tradizione?

«Avevo disegnato, raffigurandola di spalle, un’ondina. Una ninfa silvana – proprio quella delle antiche leggende – che usciva da un lago incontaminato, di fronte a un grande anfiteatro dolomitico. La protagonista aveva capelli lunghi che scendevano sulle spalle, fin quasi alle natiche. Ma il fondoschiena della ninfa destò scandalo. Il manifesto fu giudicato inopportuno. Ma sono passati molti anni. Oggi forse verrebbe accettato…».

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