I rimedi dei nonni

1893. È la data di un manualetto per chi frequenta le montagne. L’autore è Bruno Galli Valerio, ex assistente della Facoltà di Medicina di Losanna. Si intitola “Guida medica per l’alpinista” ed è stato stampato nello stabilimento Emilio Quadrio di Sondrio.

Tempi da pionieri? Niente affatto. L’alpinismo, a fine ’800, ha ormai terminato da un pezzo il periodo dello svezzamento. Ventisette anni prima, la “conquista” del Cervino ha chiuso definitivamente l’epoca della grande esplorazione. Inoltre, tutte le cime principali delle Alpi sono già state salite. E gli scalatori più bravi hanno cominciato a guardare le montagne con occhi diversi rispetto al passato: progettano vie nuove, esteticamente gradevoli e difficili, su pilatri, creste e pareti fino a quel momento mai saliti. La vetta, di per sé, non è più un motivo sufficiente a infiammare gli animi del mileu montagnard. La cifra del futuro è la difficoltà.

A parte l’élite, però, gli altri seguono come possono. Abbondano gli alpinisti della domenica e quelli che ambirebbero a portare a termine delle vere ascensioni ma devono accontentarsi dei sentieri. Quando ad attrezzature ed equipaggiamento, per la stragrande maggioranza dei praticanti, l’imperativo è “arrangiarsi”. E se, per l’abbigliamento, «il grigio si raccomanda perché ha sempre un certo che di pulito», a parte i pantaloni, che «senza essere eccessivamente larghi, devono però essere tali da non subire una distensione per ogni più leggera flessione della gamba», panciotto e giubba «non reclamano una forma particolare all’infuori dell’eterna comodità». Per quanto riguarda le calzature, considerando l’epoca, Galli Valerio, l’autore del manualetto, raccomanda una buona ferratura. «In generale» spiega al lettore, «nelle grandi città i calzolai ferrano male. Perciò gli alpinisti faranno bene facendo mettere i chiodi alle loro scarpe, in qualche villaggio delle Alpi ove si debbano recare. I chiodi dei talloni devono essere acuminati (…). La suola deve essere doppia, forte e sorpassare di un poco il tomaio». Già. Ma la salute? La «piccola «farmacia da tasca» suggerita dal medico, deve contenere acetato di piombo, ammoniaca liquida, laudano liquido, percloruro di ferro liquido, olio canforato, permanganato di potassa, creolina, cerotto e tela d’arnica, oltre a una forbice e a una siringa. Le cure? Per le punture di insetti: una goccia della seguente soluzione: 3 g di ammoniaca liquida, 0.10 g di acido salicilico, 1 g di collodio. Colpo di sole: riposo, cognac o vino, iniezioni sottocutanee di olio canforato, ma mai  applicazioni fredde sulla testa. E per la stanchezza, dice Bruno Galli Valerio, «il più grande errore è quello di coricarsi subito. Questo passaggio istantaneo dalla fatica al riposo, non arreca alcun sollievo». Meglio lavarsi, cambiarsi e fare una passeggiata, «che agisce come un passaggio scacciando l’acido lattico accumulato nei muscoli». E ancora, per traspirazione ai piedi, il rimedio è una polvere composta da 10 g di allume, 2 g di salicilato di soda e 100 g di talco. E infine, attenzione alla diarrea, «una compagna di viaggio molto dannosa e della quale bisogna sbarazzarsi al più presto». Secondo l’autore, per contrastarla bisogna sorbire 30 g di olio di ricino o, meglio ancora, una soluzione di 30 g di olio di ricino e 1 g di salolo, da sorbire in una volta.

Rimedi dei nonni? Certamente, e non sempre utili. Qualcuno, poi, è persino in grado di strappare il sorriso. Come certe raccomandazioni: non bere troppa acqua né troppo latte («le conseguenze sono disastrose… soprattutto se si è riuniti con una corda!»), o «non mettersi in viaggio senza una fiaschetta di cognac». Ma la scienza medica, in montagna, per lunghi decenni si è espressa così…

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