Land art in montagna?

Land artJPGdi Alfio Bessone – Ieri sono stato a Cuneo, al festival. Ho assistito alle presentazioni dei libri sulla montagna, ho visto un paio di film che mi sono molto piaciuti, ma prima mi sono fermato alla tavola rotonda sulla “Montagna ludica”. Non che avessi delle grandi aspettative. Mi aspettavo la solita rassegna di associazioni di mountain bike, di rafting, l’incensamento dei comprensori sciistici o dell’ultima falesia appena attrezzata per l’arrampicata sportiva. Invece il dibattito ha preso una piega diversa. C’è stata un’introduzione storica approfondita (forse un filino lunga, ma tant’è: credo fosse necessaria), l’intervento dell’antropologo Marco Aime, lucido come sempre, poi quello di Francesco Pastorelli, direttore della Cipra Italia, istituzionale ma franco. Mi è piaciuto anche il punto di vista delle guide alpine, rappresentate dal loro presidente Roby Boulard. Quello che sulle prime mi ha spiazzato è stato il discorso di Lido Riba, il presidente dell’Uncem Piemonte. Appassionato, polemico e perfino provocatorio. Almeno, sulle prime l’ho considerato così. Soprattutto quando Riba ha dichiarato: «Volete che la montagna diventi davvero il grande polmone verde dell’Italia? Bene, pagatelo, pagate il lavoro di chi fa sì che il patrimonio forestale rimanga tale». Sarà che non sono abituato a dare un valore economico alle cose ma, come me dicevo, in un primo momento ho preso il discorso come un pugno nello stomaco. La sera, però attraversando la pianura cuneese e parte dei quella torinese per rientrare a casa, ho cominciato a considerare l’intervento di Lido Riba in chiave diversa. A farmi cambiare idea sono stati i segni del diserbante irrorato lungo i fossi che fiancheggiano le strade. E mi sono chiesto: se gli agricoltori della pianura si rifiutano di tagliare l’erba sulle rive delle arterie stradali e ricorrono all’impiego della chimica, perché noi, gratuitamente, in montagna, dovremmo fare la manutenzione dei boschi e sfalciare i prati abbandonati, per tenere vivo un ambiente che altrimenti rischierebbe di collassare o di rinselvatichirsi? Nei convegni tutti sono pronti a lodare il lavoro dei montanari. Benissimo. Vivaddio. Ma chi li paga? Il riconoscimento sociale, quando c’è, può essere una bella cosa. Ma perché dovremmo farlo gratis? La sera, al cinema Monviso di Cuneo, è stato proiettato un video sul più anziano contadino della Svizzera. Un montanaro di 98 anni, ancora arzillo. Posti bellissimi, prati curati. Però, a un certo punto, della narrazione, è saltato fuori che i contadini del posto possono usufruire degli incentivi statali per lavorare la montagna. Mi è sembrata una cosa talmente straordinaria, da risultare persino fuori dal mondo. Una cosa che sembra appartnere a un altro pianeta. E pensare che a un certo momento il moderatore e il rappresentante della Cipra hanno spiegato che uno dei ruoli dell’agricoltura e della silvicoltura alpina è quello ella costruzione del paesaggio. Siamo d’accordo, accidenti, parole sante. Ma di solito gli architetti del paesaggio vengono pagati fior di quattrini. Perché, dunque, la land art della montagna dovrebbe essere uno sfizio o uno svago per chi la realizza. Avete mai provato a tenere in mano una falciatrice, tutto il santo giorno, su un prato in forte pendenza o a lavorare in un bosco dall’alba al tramonto per fare pulizia dei rami secchi? Provateci anche voi, almeno una volta nella vita, e capirete che le rivendicazioni di chi abita in montagna non sono poi così campate in aria.

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