Tempi duri per l’economia. Un po’ dappertutto nel mondo, al netto della propaganda nella quale siamo maestri, le stime di crescita vengono riviste al ribasso, e il pessimismo degli analisti si riflette sugli umori dell’opinione pubblica. Quello che è male per l’economia – ripetono in coro giornali e televisioni – è male per tutti. Ma è giusto anche ricordare che non tutti gli economisti accettano questo automatismo. Molti e qualificati studiosi contestano ad esempio l’importanza del PIL – il prodotto interno lordo – come misura dello stato di salute di un paese, perché non tiene conto di fattori importanti come il benessere degli individui e la giustizia sociale. Altri lavorano su concetti completamente diversi.
Angus Deaton è uno studioso scozzese con le carte in regola, visto che è stato insignito del premio Nobel. Tantissimi i suoi contributi alla ricerca. Però quello che ha fatto più discutere è un argomento apparentemente impalpabile come la felicità . Deaton ha dimostrato, dati alla mano, che nei paesi avanzati esiste una soglia della felicità legata al reddito annuo, che si attesta sui 63 mila euro. Una volta superata, il livello della felicità non aumenta. Deaton ha anche sostenuto che una economia volta all’accumulazione può sicuramente portare a enormi ricchezze individuali, ma che queste ricchezze non sono necessariamente un vantaggio per la collettività . Per quanto faccia – spiega – un super ricco non riuscirà mai a mangiare più di tre volte al giorno, o a navigare su due yacht contemporaneamente.
L’ultima opera di questo economista fuori dal coro si intitola The Great Escape, la grande fuga. E ha come sottotitolo la salute, la ricchezza e le origini della diseguaglianza. Che è spesso – dice Deaton – una conseguenza del cosiddetto “progresso”. Non tutti si arricchiscono nello stesso momento, non tutti riescono ad avere automaticamente accesso all’acqua potabile, ai vaccini, o ai farmaci per la prevenzione delle malattie cardiache. E A loro volta le disuguaglianze incidono sullo sviluppo. Per esempio, i nuovi ricchi possono utilizzare il proprio potere per indurre i politici a ridimensionare i programmi di istruzione pubblica e di assistenza sanitaria di cui non hanno bisogno. Un comportamento che non è soltanto iniquo, ma anche stupido, perché riduce la capacità di spesa delle famiglie meno abbienti, che consumeranno di meno, e rallenteranno la ripresa del ciclo economico. Vi ricorda qualcosa?
Battista Gardoncini