Dietro la vertenza degli sherpa dell’Everest cominciano a delinearsi aspetti non del tutto chiari. Al termine dell’incontro del 24 aprile al campo base dell’Everest, dopo aver invitato tutti i presenti a proseguire le attività di scalata, il ministero del Turismo ha concesso una proroga, valida per i prossimi cinque anni, alle spedizioni costrette a rinunciare alla scalata in programma. Quasi tutti i gruppi alpinistici stanno smobilitando. Ricordiamo che il Governo nepalese, per la stagione premonsonica 2014 aveva concesso il permesso a 31 spedizioni, per un totale di 334 scalatori, ricavandone introiti per 3.34 milioni di dollari di royalties.
Gli sherpa delle spedizioni commerciali hanno rinunciato a proseguire, e sembra che anche gli Ice Fall Doctors (che non fanno parte delle organizzazioni straniere) stiano rimettendo il loro mandato. Ed è proprio qui che si annidano le questioni a cui facevamo riferimento all’inizio dell’articolo. Secondo fonti non ufficiali, gli ultimi “resistenti”, decisi a proseguire le operazioni di attrezzaggio del percorso, sarebbero stati minacciati. Alcuni giovani nepalesi non residenti nella Valle del Khumbu, infiltratisi tra le file delle guide d’alta quota e di quanti lavorano per preparare la via normale del Colle Sud, si sarebbero detti disposti a ricorrere a intimidazioni e violenze, pur di bloccare la stagione alpinistica sull’Everest. Qualcuno dei commentatori stranieri presenti in Nepal ha parlato di infiltrazioni maoiste nella vertenza sherpa. E sostiene che, anche se la guerra del Maobadi è ormai alle spalle, l’abitudine alla lotta armata e alla violenza continuerebbe a contaminare le richieste delle minoranze nei confronti del governo. In altre parole, ci sarebbero militanti maoisti intenzionati a sfruttare le richieste dei lavoratori dell’Everest per ottenere maggiori concessioni dalle autorità di Kathmandu. E in questo momento il blocco totale delle attività è l’azione di maggior impatto internazionale. Tutto ciò starebbe avvenendo a suon di pesanti minacce, ai recidivi e alle loro famiglie, e ad azioni dimostrative condotte con lanci di pietre, bastoni e armi da taglio. Una situazione sconcertante, che getta un’ombra anche sui fatti dello scorso anno, quando Simone Moro e i suoi compagni rischiarono il linciaggio da parte di alcuni sherpa, nonostante gli anziani e i capi delle organizzazioni avessero cercato di sedare gli scontri.
Insomma, una situazione già di per sé molto grave, che ricederebbe una grande capacità di mediazione con le autorità governative e con le organizzazioni alpinistiche occidentali, si sta ulteriormente complicando. E questo non è un bene per i diretti interessati, gli operai della grande montagna, che ora rischiano di finire letteralmente tra l’incudine e il martello, come peraltro era capitato alle popolazioni nepalesi delle alte valli durante l’ultimo conflitto armato che portò lo scompiglio nel Paese delle nevi.