La nobiltà degli scacchi

Si sono da poco concluse a Baku, in Azerbaigian, le Olimpiadi degli scacchi. Hanno partecipato 180 squadre nazionali maschili e femminili ed erano presenti tutti i  migliori giocatori del mondo, a partire dal campione in carica, il norvegese Magnus Carlsen, che però  non ha brillato. Gli Stati Uniti hanno colto una storica vittoria, superando tutte le squadre  ex sovietiche, tradizionali dominatrici, e l’emergente Cina. E poco importa che l’abbiano fatto schierando giocatori come l’italo americano Fabiano Caruana, il giapponese naturalizzato Hikaru Nakamura e il filippino naturalizzato Wesley So. Anche negli scacchi i più forti vanno dove ci sono soldi e sponsor. 

L’Italia maschile, con il suo ventiduesimo posto, si è comportata bene, e il giovane Luca Moroni ha perso soltanto all’ultimo turno contro il fortissimo russo Alexander Grischuk.  Ormai fa parte dei migliori e presto  otterrà l’ambito titolo di grande maestro.

I giornali ne hanno parlato  poco, perché gli scacchi  non hanno mai avuto, e probabilmente non avranno mai, una diffusione di massa. Il “nobile giuoco” – come veniva chiamato nel Cinquecento, quando era dominato dai maestri italiani – non è in linea con lo spirito dei tempi. In televisione non rende, e la sua filosofia è in contrasto con il desiderio di ottenere tutto subito e senza troppa fatica che oggi va per la maggiore.  Al contrario per capire una partita tra campioni e per apprezzarla in tutta la sua straordinaria complessità bisogna diventare buoni giocatori. Un risultato che si ottiene soltanto con lo studio e una pratica assidua, mentre per emergere a livello internazionale occorre anche una predisposizione naturale che soltanto pochi hanno. Inoltre è molto difficile restare a lungo al vertice a causa del logorio psico-fisico, perché le classifiche da cui dipendono gli inviti ai tornei più ricchi variano in base ai risultati e alla forza degli avversari incontrati.

Gli scacchi hanno avuto il momento di massima attenzione nell’ormai lontano 1972, quando il carismatico americano Bobby Fischer sconfisse il sovietico Boris Spassky, campione del mondo in carica. Erano anni di grandi tensioni tra le due superpotenze e il match ebbe implicazioni che andavano ben oltre la scacchiera. Ma Fischer, psicologicamente instabile, è morto  dopo un lungo periodo di declino condito da farneticanti dichiarazioni antisemite, e i campioni della scuola sovietica hanno seguito il destino del loro paese, disperdendosi tra le repubbliche o venendo a cercare fortuna in Occidente.

Oggi, come hanno dimostrato le ultime olimpiadi,  non c’e’ più una nazione dominante, anche se stanno salendo alla ribalta con prepotenza i giocatori cinesi, ed è cinese la campionessa del mondo Hou Yifan. Tra due anni, alle olimpiadi di Batumi in Georgia, sarà probabilmente la Cina la squadra da battere. Il mondo cambia, e gli scacchi anche.

Battista Gardoncini

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