La montagna e’ severa!

L’autore (a sin) a 11 anni, con i genitori e un amico, al refuge Glacier Lanc nel 1972.
L’autore (a sin) a 11 anni, con i genitori e un amico, al refuge Glacier Blanc nel 1972 (da notare la vicinanza del ghiacciaio!).

di Carlo Crovella* – Recentemente mi è capitato di rimettere a posto le foto di quando, attorno ai dieci-undici anni, sono stato introdotto alla montagna dai miei genitori. In realtà le prime gite in assoluto, specie a piedi, risalgono anche a periodi addirittura precedenti, agli anni intermedi delle elementari per l’esattezza; e non parliamo poi delle sgambettate con gli sci, che ho calzato sul “campetto” a tre-cinque anni. Tutto per merito dell’iniziativa dei miei genitori.

Ma a cavallo dei dieci anni è maturata un’attività sistematica di escursioni (e, poco dopo, anche di  gite scialpinsitiche), sempre al seguito dei miei genitori. Le foto mi ricordano il clima umano di quelle nostre gite, un clima, come dire?, poco propenso a lasciarsi andare a risate, barzellette, atteggiamenti gradassi o, addirittura, sguaiati. Molte frasi in dialetto piemontese, pronunciate in quelle occasioni da mio padre, mi rimbombano in testa ancora oggi: «Marcia ca ‘t fa bin» (cammina, che ti fa bene), oppure «Fa ca’t nabie» (fattelo bastare, quando sottolineavo che, come dotazione di cibo, c’era solo un tozzo di pane, della toma e dell’acqua di sorgente…).

Ma una frase su tutte ha caratterizzato il mio approccio e, di conseguenza, la mia frequentazione alpina: «La montagna è severa». Non è frase inventata da mio padre. Anzi è luogo comune abbastanza diffuso, ma nell’accezione dei miei genitori era incorporato un secondo significato che solo ora, a distanza di quarant’anni, mi pare di aver compreso appieno.

La frase utilizzata da tutti significa che in montagna non puoi scherzare, non puoi sgarrare, devi sempre avere un “piano B”, altrimenti la montagna non ti perdona. Anche in una banale escursione, ti devi portare due paia di guanti, perché puoi sempre perderne uno e non puoi restare con una mano nuda. Da lì, tutto il resto.

Ma intravedo ora un altro significato. Per farmi capire, premetto che spesso si usa il termine “severo” anche come sinonimo di “serio”. Si dice, no?, “viso severo” per indicare una persona con l’espressione seria e, soprattutto, seriosa.

Ecco, appunto: la montagna è una cosa seria. Non è uno stadio, non è luogo di performance tecniche, ma è un contesto dove compiere, passo a passo, il proprio cammino. Ognuno ha il suo, di cammino in montagna. Ma ogni cammino, a prescindere dal livello tecnico, deve avere una costante: la serietà, il rigore, l’educazione.

Già, l’“educazione”, questa sconosciuta. Sono appena tornato da una gita in sci, bella bellissima: compagnia stupenda, pendii intriganti, neve fantastica. Ma in punta, dove probabilmente ieri era giunto un folto gruppo (una scuola?) era pieno di bucce d’arancia, “marcature d’orina”, piccoli contenitori plastici abbandonati…Tutto aggravato dall’effetto moltiplicatore dovuto al numero consistente di individui.

Chissà se esiste un collegamento fra la “gavetta” che si pagava un tempo (anni e anni alle calcagna di genitori, con microscopici miglioramenti di lunghezza e difficoltà delle gite….), rispetto al “tutto e subito” che caratterizza, non solo in montagna, la società contemporanea?

Se si passa dalla prima gita ai canali di sci ripido a volte in una sola o in pochissime stagioni, questo fa “saltare” i gradini intermedi che comprendevano anche l’educazione alla montagna?

Concentráti solo sul miglioramento tecnico, oggi non c’è più tempo (tempo mentale, soprattutto) per imparare come ci si comporta in montagna, come la si rispetta.

Carlo Crovella è un economista e un appassionato di montagna per lunga tradizione familiare. Frequenta la montagna a 360 gradi, spaziando dall’arrampicata allo scialpinismo, dall’alta quota al canyoning alle cascate ghiacciate. Di recente ha pubblicato il libro di racconti La mangiatrice di uomini (Ed. Vivalda).

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