La 61ma edizione del Trento Film Festiva ha appena chiuso i battenti, e tutti i siti Web sono già inondati di commenti. Due settimane di film, dibattiti, eventi, incontri, reading, spettacoli finiti nel tritacarne mediatico con flash parziali, giudizi estemporanei, battute talvolta inappropriate. La domanda finale – è andata bene o andata male? – però viene sistematicamente elusa da tutti. Perché? Perché è difficile rispondere, se non si ha la fortuna di abitare a Trento e avere a disposizione un sacco di tempo libero per farsi un’idea completa della grande kermesse. Nelle poche ore a loro disposizione, i visitatori riescono tutt’al più a cogliere qualche scampolo della manifestazione. C’è chi decide di dedicarsi al cinema, chi preferisce seguire gli incontri collaterali, chi saltella un po’ di qua e un po’ di là. La verità è che un festival come quello di Trento riescono a valutarlo solo i flâneur o i superimpegnati, quelli che girano con il programma in tasca, lo infarciscono di note e di appunti, e non hanno dubbi sulle loro scelte. Poi ci sono anche i furbastri, quelli che dopo mezz’ora sanno già tutto perché sono allenati a orecchiare commenti in tutti gli angoli.

In ogni caso, considerando la sua formula e la gran girandola di eventi, il festival non si giudica solo per sezioni, ma nel suo insieme. Ci sono anni in cui le proiezioni fanno la parte del leone, altre in cui sono costrette a dividere l’interesse del pubblico con gli eventi che si susseguono a ritmi incalzanti, o con l’apparizione a sorpresa di personaggi famosi. E anche quest’anno, di nomi importanti ce ne sono stati parecchi. Occasioni imperdibili per i cinefili, che ad esempio si sono visti piovere dall’alto addirittura Pupi Avati; per i climber, che hanno potuto incontrare Manolo, Adam Ondra e tanti altri personaggi di punta; per gli alpinisti di tutte le generazioni, beati di stringere la mano a Ed Webster, Reinhold Messner, Mauro Corona, Igor Koller, Elio Orlandi, Kurt Diemberger, Mick Fowler, Silvo Karo, e anche al 95enne Norman Dyhrenfurth. Ma anche chi cercava la cultura si è trovato a tu per tu con nomi importanti come Philippe Daverio e Erri De Luca.
Le serate-spettacolo? Be’, al solito, qualcuna buona, anzi ottima; altre più sottotono; e qualcuna persino poco riuscita, come quella per il 150° del Cai, che doveva essere una sorpresa di Maurizio

Nichetti ma che ci è parsa un amalgama poco… amalgamato, con tanto contesto ma poca sostanza. Per quanto riguarda i film, il nostro consiglio è quello di dare un’occhiata al vincitore della Genziana d’oro del concorso internazionale, racconto del viaggio di un gruppo di scienziati e artisti a bordo di una goletta tra i ghiacci del Nord Est della Groenlandia. Poi, da non mancare, quando arriverà nelle rassegne post festival, il lungometraggio Le thé ou l’électricit, del belga Jérôme Le Maire, Genziana d’oro della Città di Bolzano e Premio Usi e costumi della gente trentina, che racconta il disorientamento di una piccola comunità dell’Alto Atlante marocchino di fronte all’arrivo dell’energia elettrica. Da vedere, anche Pura Vida, dei registi spagnoli Pablo Iraburu e Migueltxo Molina Ayestaran, cui è andata la Genziana d’oro del Cai per il miglior film di alpinismo: si tratta della storia di un salvataggio impossibile tentato da alcuni noti alpinisti che non esitano ad esporsi a gravi pericoli per portare soccorso ad un alpinista spagnolo.
Diverso, al solito, il giudizio del pubblico. Per la categoria “Alp&Ism” il premio è stato vinto da Messner – Der Film, di Andreas Nickel; per la categoria lungometraggi il premio è stato invece assegnato a Hiver Nomade (già segnalato tempo fa su questo sito), di Manfred von Stuerler. E infine, il Premio IOG – International Outdoor Group – è andato a North of the Sun, di Inge Wegge e Jorn Nyseth Ranum. Per tutti gli altri titoli e i vari premi minori, si può comunque dare un’occhiata al sito Web ufficiale del Film festival (www.trentofestival.it).
La foto d’apertura del servizio è di Daniele Lira, le altre sono dell’archivio del Trento Film Festival.