Oltre duemila morti, migliaia di feriti, e distruzioni non soltanto in Nepal, ma anche in India, Tibet e Bangladesh. E il bilancio è ancora provvisorio, perché alcune delle zone colpite sono irraggiungibili. Tra queste i campi degli alpinisti attorno all’Everest, dove la situazione resta difficile. Le vittime accertate sono sono 18. Tra questi nessun italiano.
Quello di ieri è stato il terremoto più violento da ottanta anni a questa parte, in un’area della terra che viene considerata a elevato rischio sismico perché corrisponde a una linea di frattura della crosta terrestre.
Come spiega la tettonica a zolle, la catena himalayana è il prodotto relativamente recente – 55 milioni di anni – dello scontro tra due masse continentali in movimento. Le enormi pressioni che si generano in profondità hanno dato origine ai corrugamenti superficiali che corrispondono alle montagne più alte della Terra, da sempre a rischio di instabilità. Le cicatrici lasciate dai grandi terremoti del passato sono ben visibili agli occhi degli esperti, e la più grande, lunga circa 1500 chilometri corre proprio a sud dell’Everest.
In tempi storici qui si ricordano due terremoti di una magnitudine che gli scienziati stimano superiore all’ottavo grado. Nel 1255, quando le scosse uccisero un terzo della popolazione di Kathmandu, allora considerata una delle città più fiorenti del mondo, e nel 1934, quando i morti furono oltre ventimila.