Una piccola valanga si stacca all’improvviso, il gatto delle nevi che sta salendo alla diga del Serrù sopra Ceresole Reale, nel parco del Gran Paradiso, viene travolto e rotola nella scarpata. Uno dei due uomini a bordo, Simone Guglielminetti, benché ferito, riesce a dare l’allarme. Se la caverà. Per trovare l’altro, Pierfranco Nigretti, 55 anni, sbalzato dall’abitacolo, i soccorritori devono scavare tre metri di neve. Una drammatica corsa contro il tempo, purtroppo inutile. Trasportato in elicottero a Torino, Nigretti muore all’arrivo in ospedale per l’ipotermia causata dalla lunga permanenza sotto la neve. Era una persona esperta, grande conoscitore della zona, volontario del soccorso alpino. Prima di gridare per l’ennesima volta all’imprudenza occorre capire bene come sono andate le cose, ma non bisogna mai dimenticare che la montagna, soprattutto in inverno, è un ambiente severo. Chi la affronta, per sport o per lavoro, sa che la sicurezza assoluta non c’è. Il rischio può essere ridotto, ma non eliminato.
L’ipotermia, o assideramento, non colpisce soltanto chi è sepolto dalla neve. Molti alpinisti, bloccati in parete dal maltempo, sono morti o hanno riportato gravi ferite per la lunga esposizioni a temperature troppo rigide. Per la medicina si ha ipotermia quando la temperatura del corpo umano, normalmente attorno ai 37,5 gradi, scende sotto i 35. Ci sono diversi gradi di ipotermia, classificati secondo una scala elaborata in Svizzera. Il primo, quando la temperatura corporea va dai 35 ai 32 gradi, ha come manifestazioni cliniche i brividi e la sensazione di freddo, ma non alterazioni della coscienza. Con il secondo grado, quando le temperature vanno dai 32 ai 28 gradi, i brividi scompaiono, ma subentra uno stato soporoso. Il grado 3 si ha quando la temperatura scende tra i 28 e i 24 gradi. Subentra l’incoscienza, ma i parametri vitali sono ancora rilevabili. Sotto i 24 gradi – grado 4 – questi parametri non sono più rilevabili.
In caso di ipotermia, anche lieve, è importante che i soccorritori sappiano come comportarsi. Strofinamenti o somministrazione di alcolici possono essere controproducenti, così come le borse di acqua calda. E’ invece importante coprire la vittima – soprattutto la testa che disperde molto calore – e portarla al più presto in un luogo riparato, rifocillarla con bevande e cibi caldi, e eventualmente condividere con lei il proprio calore corporeo, ad esempio in un letto o un sacco a pelo.
In una persona colpita da ipotermia il corpo tenta di difendersi concentrando il calore attorno agli organi vitali. E’ per questo che i primi congelamenti colpiscono mani, piedi e braccia. Ed è per questo che le vittime devono essere mosse con cautela, in modo da evitare che il sangue freddo raggiunga gli organi vitali, provocando scompensi cardiaci che possono essere fatali.
Il trattamento dei casi più gravi di ipotermia prevede sofisticate strumentazioni mediche, come la circolazione extracorporea. E in alcuni casi si sono ottenuti risultati strabilianti. In Norvegia, nel 1999, fu salvata una persona che era arrivata in ospedale con una temperatura corporea di 13,5 gradi.
Ma non sempre, purtroppo, si è così fortunati.