Lo spettacolo deprimente offerto dalla politica italiana non dipende soltanto dalla pochezza dei suoi protagonisti. La crisi delle forze politiche tradizionali, che a destra è stata mascherata per qualche anno dall’uomo della provvidenza Berlusconi e a sinistra ha portato al potere un parolaio senza idee come Renzi, è evidente. E anche i Cinque Stelle, messi per la prima volta alle prese con i problemi del governo, stanno dimostrando tutta la loro inadeguatezza.
In questi giorni mi è capitato per le mani un libretto straordinario, scritto da un uomo straordinario che negli ultimi anni della sua vita era immobilizzato dalla SLA, ma ha saputo osservare con il dono della lucidità e la forza della speranza. “Guasto è il mondo”, di Tony Judt, pubblicato in Italia da Laterza, è una lettura obbligata per chiunque voglia capire i problemi della nostra società. E’ difficile ridurre la ricchezza del suo pensiero nello spazio angusto di una recensione, e neppure voglio farlo. Però posso proporvene un piccolo brano, che a mio avviso spiega meglio di tante ore di inutili talk show televisivi quello sta capitando, in Italia e non soltanto in Italia.
“Non abbiamo più movimenti politici. Ci possiamo radunare in migliaia per un comizio o una manifestazione, ma quello che ci lega in occasioni del genere è un singolo interesse comune. Qualunque sforzo di convertire questi interessi in scopi collettivi di solito viene reso vano dall’individualismo frammentato delle nostre passioni. Obiettivi lodevoli (la lotta ai cambiamenti climatici, il pacifismo, la battaglia per la sanità pubblica o per punire i banchieri) sono tenuti insieme esclusivamente dall’espressione di emozioni. Nelle nostre vite politiche e in quelle economiche siamo diventati dei consumatori: la scelta fra un’ampia gamma di obiettivi in concorrenza fra loro ci rende difficile immaginare modi o ragioni per combinare questi obiettivi in un insieme coerente. Dobbiamo fare di meglio”.
Ancora una cosa. Il titolo del libro è una citazione dal poema The Deserted Village, che Oliver Goldsmith scrisse nel 1770 per deprecare lo spopolamento rurale, la corruzione delle città, il consumismo, e la sfrenata ricerca del profitto che dominava il commercio internazionale. Nelle parole di Goldsmith, “guasto è il mondo, preda di mali che si susseguono, dove la ricchezza si accumula e gli uomini vanno in rovina”. Dopo tanti anni siamo ancora lì.
Battista Gardoncini