“Non ci aspettavamo di vedere la città ridotta in queste condizioni”. Oltre trecentomila alpini hanno invaso l’Aquila per il loro annuale raduno. E molti sono rimasti colpiti dalle condizioni del centro storico a sei anni dal terremoto che lo ha devastato, dove tra l’altro proprio gli alpini erano intervenuti con efficacia per prestare i primi soccorsi. Una ferita aperta, che è un atto d’accusa per i governi che da allora si sono alternati. E anche per il sistema dei media, che evidentemente non è stato capace di far penetrare nella coscienza collettiva del paese una corretta percezione dei fatti.
Del terremoto si è parlato molto, a volte anche a sproposito, lodando iniziative che esistevano soltanto sulla carta, minimizzando i problemi, esaltando personaggi che con il senno di poi sarebbe stato meglio collocare nelle cronache giudiziarie. In questi giorni, ritrovandosi all’Aquila nel consueto clima di festa e di amicizia e mescolandosi alla popolazione, gli alpini d’Italia hanno avuto l’occasione di toccare con mano quello che gli obiettivi delle telecamere e i resoconti dei giornali tendono a sterilizzare. E la grande sfilata conclusiva, che si sta tenendo proprio in queste ore, dà agli aquilani la speranza che i problemi della loro città ferita tornino ad essere, almeno per un po’, una questione di interesse nazionale.
Il ricordo, la ricostruzione, il dovere. Questo è scritto nella prima pagina del sito ufficiale della manifestazione. Ed è qualcosa di più di uno slogan.