
di Margherita Griglio* «A Pàvana il sole sorge dalla parte di Suviana, nella direzione del Longhétto; verso mezzodì è alto sopra al Latòsa, in direzione della diga. A mezzodì a s’manghia. Nel pomeriggio passa dietro al Monte di Pàvana, verso le Casette, poi va verso il Monte di Granaglione e di là sparisce per destinazioni remote che non ci è dato sapere…». È un brano di Cròniche Epafániche, primo libro di Francesco Guccini, pubblicato nel 1989 dall’editore Feltrinelli. Ed è la dichiarazione d’amore del cantautore, nato a Bologna nel 1940, per il piccolo paese degli avi – nell’Appennino pistoiese – dove ha scelto di vivere «per tornare da dove sono partito». Spiega Francesco: «No, non sono nato qui, ma qui ho trascorso infanzia e adolescenza e qui sono le radici della mia famiglia. I montanari sono un po’ come i marinai: girano e girano, ma poi tornano da dove sono partiti. Al loro posto».
Guccini e Pàvana, Guccini e l’Appennino: un rapporto molto forte, più volte cantato e dichiarato, scritto, sottolineato. Analizzato in saggi come Vacca di un cane e raccontato nei romanzi gialli – davvero belli – scritti con il bolognese “montanaro” Loriano Macchiavelli. Romanzi che hanno nel maresciallo Santovito molto più di un protagonista: un testimone, un fil rouge che lega luoghi e generazioni, ricordi e canzoni passando dalla vecchia stufa dell’osteria al juke box del bar al neon. La scelta di vivere lassù, a ben vedere, per Guccini era inevitabile, scritta da tempo: la si trova, a saper ascoltare, nel suo primo album discografico (Folk Beat n. 1, del 1967) e ancor di più in Radici, del 1972. I testi più recenti sono la conferma.
Uno dell’Appennino, dunque, Guccini. Come il suo trisnonno arrivato lassù per comperare un mulino perché, dal Cinquecento, i Guccini erano mugnai. «Il trisnonno è venuto di là, da Porretta che era nel Granducato» racconta, «mentre noi qui si era nello Stato Pontificio: ma è durato poco, perché lui è morto presto, e così è toccato al mio bisnonno tirare su tutta la famiglia. E aveva 16 anni…».
Ma come vive un artista in Appennino? «Mah! Io ci vivo bene, sennò non sarei qui. E c’è anche una certa attività creativa: ho tradotto nel dialetto di Pàvana due commedie di Plauto, La Casina e L’Avaro, le abbiamo messe in scena con una compagnia di sciagurati di qua, e poi siamo persino andati in tournée a San Giovanni in Persiceto! C’è di buono che questo ha indotto i più giovani a riprendere a parlicchiare nel nostro dialetto».
Una piccola storia di Appennino, lassù al Passo di Pàvana, dove la porta di Francesco Guccini, per i tanti che passano a salutarlo, è sempre aperta. «Davvero non mi chiedere oltre, solo un momento, un rimorso o un accordo. Ma dove sono le nevi di un tempo, ora che c’è soltanto il ricordo…». (Vacca di un cane, 1993).
* Margherita Griglio, giornalista e fotografa, nutre da anni una sfrenata passione per la musica e per la montagna. Oltre a percorrere sentieri e mulattiere, d’inverno ama vagare tra boschi e radure con le ciaspole ai piedi e la fotocamera a tracolla, sempre attenta a fermare le emozioni del momento.