Film belli, ma…

lastgreatclimb13-alistair lee di Roberto Mantovani – Ieri a Torino ho partecipato come spettatore alla serata di proiezioni proposta dal Filmfestival canadese di Banff. Una bella manifestazione che ha fatto il tutto esaurito già in fase di prevendita dei biglietti d’entrata. Mi interessava capire quale fossero il livello dei film proposti e le reazioni del pubblico degli appassionati dell’out door, dell’arrampicata e della montagna. A Banff, bellissima cittadina dell’Alberta ai margini delle Montagne Rocciose, sono stato una volta solo, qualche anno fa. E tra le altre cose ho potuto seguire con attenzione il festival, che è uno dei più rinomati nei paesi di lingua anglosassone, frequentato da appassionati che arrivano da mezzo mondo e in grado di esibire ospiti di assoluto prestigio.

Ovvio che la scelta degli otto filmati del pacchetto presentati agli spettatori dal Banff Mountain Filmfestival non sono sufficienti a rendere ragione di una manifestazione articolata come quella canadese. Ma è anche vero che, oltre a riflettere i gusti degli organizzatori e a raccogliere una campionatura dei video d’annata, ciò che in questi casi si vede sul grande schermo rappresenta il termometro dell’attività cinematografica di un determinato ambiente e anche il suo indirizzo. In qualche misura, quindi, la serata torinese (una delle 12 proposte nel tour italiano dell’iniziativa) è stata la testimonianza dell’alpinismo e dell’outdoor filtrati dalle lenti del pubblico d’oltre oceano.

Le impressioni? La prima è che ormai le proposte dei film festival di montagna si assomigliano un po’ tutte. E il motivo non è difficile da spiegare. Innanzitutto esiste una relazione forte – e anche ufficiale – tra le manifestazioni cinematografiche specializzate distribuite sul globo. In secondo luogo, la scelta di titoli e autori, soprattutto nelle manifestazioni di fine anno, tiene sen’altro conto di quanto si è visto sullo schermo degli altri festival nei mesi precedenti.

L’ulteriore considerazione è che non esistono più film brutti. Da qualche anno a questa parte sono spariti i cortometraggi e i medio metraggiwww.kemplemedia.com amatoriali, e oggi, dal punto di vista tecnico, si rasenta la perfezione formale. Perciò è difficile, rispetto al cinema che ha come scenario il mondo verticale, continuare a parlare di prodotti “devozionali” o “per addetti ai lavori”, come faceva la critica sino a qualche anno fa.

Ma forse è il caso di aggiungere che, se la stragrande maggioranza dei lavori selezionati dal punto di vista tecnico sono ineccepibili, ciò non significa che il cinema abbia fatto un passo avanti decisivo. Al contrario, a chi scrive queste righe sembra il prodotto cinematografico, nel suo insieme, venga in gran parte soffocato dalla tecnica. In altre parole, mettere gli uni accanto agli altri effetti speciali, ottima musica e sequenze impeccabili aiuta a fare del buon cinema ma non esaurisce il discorso, se poi mancano buone idee, sceneggiature di spessore, visione d’insieme e linguaggio appropriato. E la cosa la si riscontra soprattutto nei cortometraggi, che spesso ti lasciano con la bocca amara e ti deludono perché hanno poco da dire, anche se formalmente sono cesellati con la tecnica più raffinata. Non contengono tracce di un cinema possibile e, cosa più grave, mostrano un immaginario prosciugato.

banff2014_0Acquisita la tecnica che faceva difetto ai cineasti d’un tempo, forse sarebbe ora di tornare a costruire davvero il cinema. Senza più giocare a stupire, ché ormai non si stupiscono neanche i ragazzini. Anche perché la montagna è già stupefacente di per sé e non ha bisogno di essere migliorata con realtà aumentate. In altre parole, a parte qualche titolo di valore che per fortuna ancora oggi esiste, per vedere del buon cinema “di montagna”, bisogna tornare a lavorare come facevano e fanno i migliori registi che, pur provando, riprovando e sperimentando, non hanno mai disdegnato di fare la gavetta. E in ogni caso ricordiamoci, che la rivoluzione, al cinema, non l’hanno mai fatta i tecnici, per quanto bravi fossero.

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