Ieri, giorno di Pasqua, sono terminate le operazioni di soccorso sull’Everest, un po’ a causa del maltempo e un po’ per l’impossibilità di continuare a scavare nel ghiaccio a quote tanto elevate. Tredici per ora i morti, tre i dispersi; e almeno otto i feriti: i tre più gravi sono stati portati con gli elicotteri a Kathmandu, gli altri sono ricoverati all’ospedale di Lukla. In questo momento sono presenti al campo base circa 300 alpinisti e 500 sherpa.
Il Governo nepalese ha annunciato uno stanziamento di circa 400 dollari per l’aiuto immediato alle famiglie dei deceduti, e un’assicurazione privata ha aggiunto altri 500 euro per famiglia. Ricordiamo che, stando ai regolamenti vigenti, gli high-altitude workers impegnati a quote più elevate del campo base sono assicurati per circa 7500 dollari, una cifra sufficiente a garantire il sostentamento di una famiglia media di sherpa per due anni. Ma tale durata vale solo per chi vive in montagna, e non basta se ad esempio si abita nella capitale nepalese.
Rispetto ai commenti che ci sono arrivati appena la notizia della tragedia sull’Everest è stata posta su Face Book, facciamo rilevare che è difficile parlare di un semplice “indicente sul lavoro”. Non è un caso che gli sherpa impegnati sulle pendici della montagna stiano pensando a uno sciopero per garantirsi condizioni migliori di sicurezza. Evidentemente la linea da attrezzare non era stata scelta solo da loro…
Come ben si sa, un numero sempre crescente di stranieri benestanti cerca ogni anno di scalare la vetta più alta del mondo, e qualcuno tenta continuamente di realizzare “record” strani e bizzarri. Tutto il lavoro di manovalanza per le spedizioni viene però svolto sempre dagli sherpa, che si prestano allo svolgimento del servizio attratti da stipendi decisamente alti rispetto ai redditi medi nell’area del Khumbu.
Ci piacerebbe che da questa tragedia nascesse una discussione seria a approfondita sulla sicurezza del lavoro in un ambiente in cui i rischi sono sempre altissimi. Qualcuno in Nepal sostiene che l’Everest debba essere lasciato ai veri alpinisti e agli dèi, piuttosto che lasciar fronteggiare la maggior parte dei rischi e delle fatiche agli sherpa, per favorire gente che non potrebbe salire se non gli venisse preparata la pista, ci si facesse carico del loro ossigeno e fosse trascinata letteralmente verso l’alto.