Ma esiste davvero l’architettura alpina? O si tratta della solita finzione che prende forma nel finto chalet svizzero con i gerani sul balcone, che fa tanto montagna e che è disseminata ovunque, dalla Valle d’Aosta al Friuli alla dorsale appenninica?
Di recente è uscito un libro che, oltre a fornire una risposta al quesito, ci illumina sull’architettura alpina di oggi. Si tratta, appunto, di Architettura alpina contemporanea, di Antonio De Rossi e Roberto Dini, entrambi docenti di architettura presso il Politecnico di Torino (160 pp., con foto a colori e b/n, collana “Quaderni di cultura alpina”, Priuli & Verlucca, Ivrea 2012).
Sfogliando le pagine del volume, sulla cui copertina campeggia una fotografia invernale della nuova Monterosa Hütte, è facile capire che si tratta di un buon lavoro di divulgazione. Con qualche nota tecnica in più, il libro avrebbe potuto figurare nell’ambito dell’editoria specializzata in architettura. Invece, per loro esplicita ammissione, gli autori hanno scelto una collana destinata a un pubblico di appassionati di montagna, per diffondere la riflessione tra chi la montagna la vive in maniera diretta.
L’ambito dell’indagine di De Rossi e Dini è quello degli ultimi venticinque anni: si parte dal 1988 quando Peter Zumthor costruì la cappella di Sogn Benedetg nei Grigioni, singolare icona della nuova architettura alpina, e si arriva all’oggi, prendendo in esame una casistica molto corposa, disseminata in tutti i paesi alpini.
Rispetto all’architettura a dei decenni precedenti (Mollino, Gellner, Morassutti, Perriand, Botta, ecc.) indirizzata soprattutto ai turisti, quella contemporanea – spiegano gli autori – ha a che fare con l’abitare in montagna. D’altra parte oggi la montagna non è più, come nel recente passato, solo la banlieu blanche della città. È un territorio che sta recuperando la vocazione di farsi luogo in cui abitare e vivere.
Ma torniamo al quesito iniziale. Cos’è, dunque, l’architettura alpina? Gli autori spiegano che non si tratta di una categoria predefinita ma è un costrutto culturale che muta nel tempo. Non scaturisce dal paesaggio e dalla gente che lo abita. È, piuttosto, un’ipotesi di lavoro che può fregiarsi dell’aggettivo alpino nella misura in cui entra in sintonia con il contesto storico e ambientale: non per nulla i due elementi costitutivi dell’architettura alpina sono il carattere relazionale e la dialettica con il limite, dettato dall’ambiente e dai luoghi.
C’è anche un capitolo storico assai interessante. Che parte dal tipico chalet svizzero, legato alla matrice culturale matrice romantica e pittoresca, e mostra come l’immaginario diffuso, in fatto di architettura alpina sia mutato nel tempo e sia stato catturato da diversi e successivi modelli.
Ma la cosa più interessante del libro è la lunga carrellata di esempi di architettura contemporanea (oltre 200) che propone case d’abitazione, complessi residenziali, edifici pubblici, scuole, biblioteche, musei, luoghi di lavoro, persino dei monasteri, oltre ai rifugi alpini dell’ultima generazione.A partire da quel gioiello che è la Monte Rosa Hütte, nel Vallese, ai piedi delle pareti del Rosa e del Lyskamm. Un prezioso défilé architettonico che racconta anche come si sia evoluto l’atteggiamento dei progettisti, rispetto al tema della sostenibilità ambientale, in un territorio fragile come quello alpino.