Cercando Polifemo

di Antonio De Marchi e Meo De Zio – Eravamo davanti ai faraglioni di Acitrezza e la domanda venne spontanea. Chi li ha messi proprio li? Interpellata la nostra guida Omero siamo stati indirizzati al Mongibello, oggi chiamato Etna, caso mai Polifemo si fosse nascosto in una delle grotte che costellano i suoi pendii. Vuole infatti il mito che i faraglioni fossero stati da lui lanciati in mare per bloccare la fuga dell’astuto Ulisse.

E così di buon mattino, salendo per Piedimonte Etneo e Linguaglossa, raggiungiamo in auto il rifugio Ragabo (metri 1450 s.l.m.; circa 45 minuti da Fiumefreddo di Sicilia), punto di partenza della nostra escursione. Il sentiero si svolge lungo un comodo tracciato, vietato alle auto, in gran parte pianeggiante fino alla Grotta dei Lamponi. Nel primo tratto si attraversa una magnifica foresta di conifere centenarie. Attenzione: nei pressi della caserma Pitarrone occorre andare a sinistra sinistra oltrepassando, poco dopo, il confine comunale tra Linguaglossa e Castiglione di Sicilia. Quindi si prosegue allo scoperto ammirando le colate laviche del 1923, del 1911 e del 1879,  e constatando come la vegetazione riesca progressivamente a colonizzare le rocce nell’arco di poche decine di anni. Si giunge così in una zona nuovamente boscosa, ad un ampio crocevia caratterizzato da un altarino, dove – lasciata alla destra la leggera discesa verso la Grotta delle Palombe e alla sinistra la traccia che si inerpica dietro l’altarino – si prosegue, in piano, verso la Grotta del Gelo e  il Monte Spagnolo. Poco più avanti, una ben visibile indicazione ci orienta verso un piccolo pendio ove si trova la Grotta delle Femmine. Ritornando a questa indicazione si prosegue lungo il percorso in direzione della Grotta del Gelo. Durante il tragitto si possono osservare delle curiose formazioni laviche (cordate, ecc…) su cui ci si può sbizzarrire a cercare di riconoscere figure piu o meno note come spesso accade di fare con le nuvole.

Ecco, ad esempio, cosa abbiamo visto noi: una bagnante uscita da un quadro di Botero alla ricerca del suo prezioso anello. Al bivio, in mezzo ad una grande colata lavica (circa 2 ore e mezza di cammino dalla partenza), una cartello indica a destra il proseguimento della strada verso il monte Spagnolo mentre un altro cartello indica la strada verso il rifugio Timpa Rossa . Tra le due strade è segnalato un sentierino che si inerpica tra le lave e in pochi minuti porta alla Grotta dei Lamponi.

Ritornati al bivio, e presa la direzione per Timpa Rossa si sale un pendio protetti dal caldo sole d’estate in un bosco di faggi (circa 40 minuti di cammino per il rifugio). Il rifugio è in realtà un ricovero di fortuna che consente di riposarsi in ripararsi in caso di maltempo. Quindi, non aspettatevi di trovare un gestore pronto ad offrirvi una bevanda con le bollicine.

Di qui in avanti la strada diventa un sentiero. Occorre prestare attenzione a non perderlo, anche perché l’Etna nelle ore pomeridiane spesso si vela di nuvole e nebbie. Raggiunta la sella (circa metri 2000  s.l.m.) dopo circa 50 minuti di cammino dal rifugio, si lascia sulla sinistra la vetta del Monte Nero e a destra quella del Monte Timpa Rossa. La discesa verso Piano Provenzana (circa 30 minuti) attraversa, nell’ultimo tratto, la tormentata colata lavica del 2002 raggiungendo la pista dei mezzi che accompagnano i turisti sino a quota 2800 m nei pressi del Cratere Centrale . Raggiunto Piano Provenzana occorre scendere verso il punto di partenza, distante 3 Km circa, lungo la strada asfaltata. La soluzione migliore è quella di chiedere un passaggio. Noi abbiamo incontrato il simpatico Salvatore, autista dei mezzi a cui abbiamo accennato, che durante il breve tragitto ci ha raccontato, quasi, la sua vita. Un grazie a lui e a Giacomo gestore, con la famiglia, del rifugio Ragabo.

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