Caro Walter,
ti scriviamo per consolarci un po’. Da quando te ne sei andato, giusto sei mesi fa, sono successe tante cose. Nei primi giorni c’è stato un urlo collettivo di dolore e di smarrimento. Evidentemente, erano in tanti a volerti bene davvero. Gli articoli, i ricordi, le manifestazioni di cordoglio si sono sprecati. Ma col passare dei giorni, tutti abbiamo scoperto che avevi anche degli strani, sedicenti amici, che nessuno conosceva. Gente che giurava di esserti stata molto vicina ed era pronta a raccontare fatti inediti della tua vita di alpinista. Persone che forse ti avevano incontrato una volta, magari lo spazio di pochi minuti in fondo a una serata di diapositive, e sosteneva di averti frequentato da sempre. Poi sono sbucati gli esegeti del tuo pensiero. E c’era chi sottolineava i tuoi valori, riempiendosene la bocca. Peccato che poi, questi valori, non saltassero mai fuori. E ancora, c’era chi assicurava di aver percorso tutte le tue vie, ammiccando come fanno quelli che sotto sotto si capisce che pretendono di asver fatto le cose meglio di te ma non possono dirlo apertamente, perché loro sono dei signori. E poi un sacco di seguaci pronti a spiegare che quella volta, in quella determinata occasione, tu volevi dire ma non hai detto, pensavi di spiegare ma non eri stato chiaro.
Ma questo è il meno. Perché c’è anche chi lavora sottobanco e poi, al momento buono, cerca di prendere la scena e assestare colpi bassi o minimizzare alcune vicende che sono state ampiamente e definitivamente chiarite. Prendiamo l’affaire K2, conclusosi, con ingiustificabile ritardo, tra la fine del 2007 e l’inizio del 2008. Prima con l’uscita del libro K2, una storia finita, curato da Luigi Zanzi, uno dei tre «saggi» che avevano redatto la famosa Relazione richiesta dal Cai il 23 febbraio del 2004, e infine con l’ultimo atto: la conferenza di inizio 2008 alla Società geografica Italiana, a Roma. Ebbene, c’è chi vorrebbe, adesso che tu non puoi più difenderti, fare come se non fosse successo nulla. Come se non fosse emersa finalmente la verità storica sulla vicenda o, peggio, come se quest’ultima tutto sommato fosse qualcosa di inferiore rispetto alle versioni dei testimoni oculari o al ricordo dei testimoni. Quando invece ogni vero storico sa che la memoria individuale e le testimonianze di chi era sul posto sono necessarie ma non sufficienti per la comprensione storica dei fatti. Come del resto sa che la storia non può limitarsi a inventariare le versioni fornite dalle memorie dei protagonisti di una determinata vicenda, ma deve lavorare in maniera critica, e soprattutto spiegare, oltre che raccontare.
Ma sai come vanno queste cose. Mai che si lavori apertamente, però si comincia con una battuta qua, una frecciatina là, un commento che sembra caduto a caso. E così, piano piano, si sedimentano spiegazioni fantasiose o poco attinenti alla realtà.
Ma qualche amico vero, per fortuna ti è rimasto. Parliamo di amici, non di adoratori o di fans, che sono invece una cosa diversa. Amici. Quelli che ti eri scelto, e altri, magari rimasti nell’ombra e poco conosciuti, ma leali, sinceri, capaci di distinguere le sfumature dei colori e capire al volo le cose.
Senza di te è duro continuare a sostenere molte delle idee per cui ti eri battuto, più difficile che in passato, quando bastava guardarsi negli occhi per trovare conferme e assicurazioni. Dovunque tu sia ora, questo è bene che tu lo sappia. Ma è anche giusto che tu sappia che la strada e il metodo che tu hai voluto sperimentare e indicare a quanti hanno scelto di ascoltarti non è stato affatto buttato dalla finestra. È uno strumento che molti di noi hanno continuato a utilizzare e che cercano di dominare nel migliore dei modi. Non solo in montagna, ma dovunque. Soprattutto nella vita di tutti i giorni. Tanto ti dovevamo. Con affetto dagli amici di Segnavia54. (Redaz.)