di Alfio Bessone – E c’avremo ragione anche noi, qualche volta. O no? Quel noi vuol dire la gente che abita in montagna, la gente di valle, e il motivo del contendere è il canone Rai. Mettiamo però subito in chiaro una cosa, a scanso di equivoci: nessuno contesta la tassa in quanto tale. Quello che si contesta è il fatto che venga richiesto un canone tutt’altro che banale per i nostri redditi, a fronte di un servizio incompleto e parziale. Per chi ancora non lo sapesse, in montagna il segnale televisivo è scarso e in qualche caso inesistente. Si vedono pochissimi canali Rai (difficilissimo vedere Rai3) e pochi canali delle private. Ma ci sono dei casi in cui il televisore prende ancora meno: uno, due canali al massimo. L’informazione regionale è pressoché assente dai nostri schermi. E Rai 5, che fino alle soglie dell’inverno trasmetteva per esempio la trasmissione Montagne, è del tutto fuori dalla nostra portata. E il discorso vale per una lunga fascia montuosa. In Piemonte ma anche in diverse altre regioni, alpine e appenniniche. In certe zone la tivù arriva ma solo grazie ai ripetitori installati e manutenuti dalle Comunità Montane. Inoltre, dopo la conversione al digitale, la situazione è ulteriormente peggiorata. Il motivo per cui i dirigenti della televisione di Stato latitano molto probabilmente dipende dal fatto che la montagna rappresenta una domanda “debole”, perché appartiene a un numero esiguo di utenti. Se è così, siamo di fronte a una logica senza senso.
In Piemonte, nello scorso mese di settembre il Corecom (Comitato regionale per le Comunicazioni) ha promosso un’indagine sulla situazione del segnale, chiedendo notizie precise a tutti i Comuni. Nei prossimi mesi ne sapremo di più, arriveranno dati dettagliati. E a quel punto vedremo cosa risponderà il servizio pubblico e l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni.
Ma intanto, in una situazione del genere, ci sentiamo presi per i fondelli. Ci chiedono di pagare il canone Rai, che è un’imposta sul possesso del televisore. Ma a tutti gli effetti ci troviamo a versare dei soldi per un soprammobile, visto che il servizio televisivo non esiste o esiste in misura insufficiente. E questo vuol dire che si sborsano dei soldi a fronte di un’informazione che non esiste, che non si vede, come non esistono l’intrattenimento e i programmi.
Se pensiamo che in montagna esistono grossi problemi anche con Internet (l’annoso problema del digital divide), il quadro è proprio disastroso. Fortuna che arrivano i giornali. Anche se poi riduzione o lo smantellamento dei servizi essenziali (ospedali, scuole, poste, trasporti pubblici), la mancanza di lavoro sta dando la botta finale a chi vive in montagna.
Attenzione, però: nel caso della tivù stiamo parlando di servizio pubblico, non di servizio privato. Possibile che di fronte a quest’ennesimo problema non si riesca ad aprire un tavolo di discussione con tecnici e politici? In quale altro modo dobbiamo articolare la nostra protesta?