Kurt Diemberger, il giovane ghiacciatore invitato da Hermann Buhl al Broad Peak nel 1957, ha spento la candelina dei suoi primi ottant’anni con la solita energia. Un’unica candelina piantata su una torta che, complice un pasticcere meticoloso, ricordava la famosa Meringa gigante del Gran Zebrù, la struttura ghiacciata su cui Kurt, a soli 24 anni, compì uno dei suoi capolavori. La scalata che gli valse le chiavi per l’Himalaya. Anzi, ad essere precisi, per un Karakorum che a quel tempo profumava d’avventura e nascondeva tra le sue pieghe enigmi irrisolti e infinite possibilità per l’esplorazione e l’alpinismo. Venerdì sera, il giorno del compleanno, una torta in famiglia; sabato, il pranzo con gli amici sui colli bolognesi, e domenica pomeriggio un salto sull’Appennino, con Erika, sua compagna nei vagabondaggi nello Shaksgam, l’immensa e tuttora semi inesplorata valle che si apre a settentrione del K2, e Wolfi Stefan, 78 anni, suo compagno di scalate in gioventù e ancora oggi attivissimo sulle montagne di mezzo mondo, Patagonia compresa.

Tre monelli con la voglia di correre ancora lungo i sentieri senza che nessuno li veda o li ricorra, in cerca di una boccata di libertà, come negli anni dell’adolescenza. Wolfi, nel fine settimana, sembrava avere l’argento vivo addosso, ma anche Kurt, che non ha mai abdicato dalla possibilità di andare incontro ai suoi sogni, mostrava una gran voglia di muoversi. Forse perché negli ultimi mesi ha dedicato gran parte del suo tempo alla scrittura. Fra breve uscirà un suo libro di ricordi e fotografie in gran parte inedite, per un editore svizzero, ma presto ci saranno sorprese anche per i lettori italiani.
La cosa più bella della festa per gli ottant’anni di Kurt, comunque, è che non ci sono stati discorsi e tantomeno momenti di ufficialità. Tutto come sempre. D’altra parte ha ragione lui: l’eccezionalità della nostra recita sul palcoscenico del mondo non sta nei momenti di festa, ma si nasconde nella vita di tutti i giorni.
Tanti auguri, Kurt!