Alla fine la pioggia è arrivata anche là dove non arriva quasi mai, nel Cile settentrionale a ridosso del deserto di Atacama, e le frane di fango hanno provocato venticinque morti, con centinaia di dispersi tra i pochi abitanti che sfidano le avversità lavorando nei giacimenti di rame e di nitrati.
Stretto come è tra le Ande e la Cordigliera della Costa, il deserto di Atacama è considerato la zona più arida del mondo, con una media annua di precipitazioni di appena 0,08 millimetri all’anno. Questo perché la corrente di Humboldt, raffreddando le acque costiere del Cile settentrionale e del Perù, impedisce l’ inversione termica e rende molto stabile l’atmosfera: l’umidità provoca dense nebbie lungo la costa, ma raramente si trasforma in nuvole in grado di superare le montagne. L’aria nel deserto di Atacama diventa così eccezionalmente secca, con fortissimi sbalzi di temperatura tra il giorno e la notte: un ambiente ostile all’uomo, ma propizio per gli astronomi, che cercano per i loro telescopi cieli sgombri da nuvole e privi di inquinamento luminoso. Proprio nel deserto di Atacama, a oltre 2600 metri di quota sul Cerro Paranal, sorge uno degli osservatori più importanti del mondo, dove operano anche strumenti e tecnici italiani.
L’eccezionale pioggia di questi giorni – sulla città di Antofagasta sono caduti in un solo giorno 23 millimetri di acqua – è dovuta al fenomeno del Nino, un anomalo riscaldamento delle masse d’acqua oceaniche che di solito porta con sé piogge torrenziali e alluvioni, perché il terreno delle regioni interessate non è in grado di assorbire la pioggia e molto spesso dilava. Come anche questa volta puntualmente è accaduto, dando ragione alle pessimistiche previsioni dei climatologi, che attribuiscono al riscaldamento globale il ripetersi di eventi estremi in tempi sempre più ravvicinati.