Arbitrario ma non troppo

Una chiacchierata  che è tre cose: una provocazione, una riflessione arbitraria ma neanche tanto, e un momento per sorridere su cose serie.
Chi non ride mai  – ci spiega Renato Scagliola – è uno pericoloso.

Tra Rubiana e il colle del Lys piccola patria di boschi e boscaglie, radi pascoli, piccoli orti, è stato introdotto da decenni il capriolo che però ha il vizio di mangiare le piantine di qualunque essenza: soprattutto castagni e frassini. I boschi patiscono, i virgulti rosicchiati seccano. Il bellissimo e ingordo ruminante – gli occhioni da Bambi e una voce sgradevole – fa più danni dei cinghiali anch’essi immessi dalle consorterie venatorie. I cacciatori sparano soddisfatti, a tutti e due, ma non basta mai. A casa fanno spezzatini, salami e brasati, e riempiono i freezer. Ma le bestie si moltiplicano.
Così succede in tante parti delle Alpi.Tanto che montanari, bergè e boscaioli, stanno cercando di reintrodurre di sfroso i bracconieri, anche se specie non ancora estinta del tutto.
Il verbo reintrodurre ovviamente significa mettere dentro di nuovo, cioè introdurre qualcosa magari più volte, come succede negli accoppiamenti dei mammiferi, e che quindi, come sappiamo, è anche attività ludica in un certo senso. Immettere qualcosa o qualcuno in un certo ambiente, è per conservare o ricreare un’armonia, una coerenza primigenia, alterata per motivi diversi.
Ogni età ha avuto le sue caratteristiche, traumi e drammi, comparsa e scomparsa di bestie, uomini, piante, invertebrati, scompensi climatici che hanno cambiato le carte in tavola. E allora?
Fino a che punto bisogna tornare indietro nel tempo per decidere che quello era l’ambiente giusto da considerare e ricomporre? La belle époque? (quindi di nuovo cocottes, entrecotes, Toulouse Lautrec, il can can anche nelle valli valdesi?). Il medioevo, con i cavalieri del Santo Sepolcro, di ritorno da Gerusalemme, a far merende sinoire nelle piole della valle Po. E i vitun, stufi di combattere con quella menata della masche, avvelenati dalla segale cornuta e ustionati dal fuoco di sant’Antonio, in attesa dell’arrivo, finalmente, della polenta e delle patate dall’altro mondo, come dice Jacques Le Goff?.
Il tempo dei romani, (reintrodurre gli Orazi e i Curiazi?, crocifiggere di nuovo gli spartachisti e mettere tutto su You Tube?), l’età del bronzo (facce adatte ce ne sono ancora tante, non è un problema). O il periodo 1943 – 45, reimmettendo in montagna fior di garibaldini e gielle, ma stavolta per far piazza pulita, per sempre di maledetti neri, nazi e fascisti.
Nessun interesse, sembra, tra gli ambientalisti, per la reintroduzione del paltò con la martingala, mentre il ritorno della mantellina sembra più gradito anche da parte dei tradizionalisti del club “Da pare ‘n fioeul” di Barge.
Si dice che un ambiente sano deve ospitare la salamandra di Lanzai, il gipeto, il lupo che non è poi così cattivo, il tanaceto e l’erba cipollina, ma allora se tutto dev’essere com’era un tempo, ci vorrà anche un’epidemia di peste, nuove edizioni del gozzo e deformità causate da scarsa igiene e avitaminosi, litigi e accoltellamenti tra vicini per un pezzetto di prato e per la capra che mangia l’erba non sua. E anche antichi mestieri come il monatto, il boia alle tenaglie roventi, lo scuoiatore di eretici, il falso settimino, l’implacabile esattore di gabelle (ma è un mestiere che si è conservato intatto nei secoli fino a oggi), e magari l’imbroglione da fiera, anche questo ancora vivo, vegeto e aggiornato.
Infine l’impossibile: viabilità ed energia. Volendo essere coerenti e puri spiriti, vanno eliminati strade asfaltate, ferrovie, seggiovie, ripetitori tv e telefoni, elettrodotti, dighe, motori a combustione interna – anche solo per tornare ai tempi di Carlo Felice – e andare a piedi in silenzio e santa pace, che fa bene alla salute. Godendo poi nel tepore della stalla, del conforto della lucerna a petrolio e del buon odore del letame, quello di una volta. Che non è solo la cacca della vacca insieme alla paglia, ma il concime più santo che c’è, buono per il prato in primavera.
E attenti alle masche, uscendo nell’aia una notte d’inverno, a fare una sana pisciata nella neve.

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