Il parco nazionale delle Cinque Terre è il più piccolo parco italiano, ma anche il più densamente popolato. Nei cinque borghi che lo compongono – Riomaggiore, Manarola, Corniglia, Vernazza e Monterosso al Mare – vivono oltre cinquemila persone, e l’uomo ha profondamente modificato l’ambiente naturale, ricavando spazio per le abitazioni e terreno utile alle coltivazioni sui ripidissimi pendii che scendono a picco sul mare. Per il suo fascino è stato dichiarato Patrimonio Mondiale dell’Umanità, ma la straordinaria bellezza di questo paesaggio sospeso tra mare e montagna è anche il suo tallone di Achille, perché lo rende particolarmente vulnerabile a eventi naturali eccezionali come i nubifragi.
Tutti ricordano i disastri e i morti del 2011, seguiti da una grande mobilitazione del parco e delle amministrazioni locali che ha quasi cancellato i segni della tragedia. Però, come si dice in questi casi, molto resta da fare, e ogni pioggia tiene gli abitanti con il fiato sospeso. L’ultima allerta della protezione civile è di pochi giorni fa. La Via dell’ Amore, percorsa ogni anno da migliaia di persone, è ancora chiusa a causa di una frana, ed è in pericolo anche il sentiero Azzurro che unisce Manarola e Corniglia.
Tamponare non basta. Occorrono interventi mirati, che tengano conto delle esigenze di sicurezza senza snaturare l’ambiente. Per questo il presidente del parco Vittorio Alessandro ha chiesto l’aiuto della scienza, e vuole istituire un centro di studi geologici che dia le indicazioni per interventi di carattere generale sul territorio. “Non palliativi – spiega – ma azioni mirate, da svolgere in simbiosi con i comuni, con le associazioni agricole, con gli operatori turistici, perché il miracoloso e incerto equilibrio delle Cinque Terre non sia affidato soltanto alla natura, ma alla intelligente ostinazione degli uomini”.
L’appello è stato lanciato. C’é da sperare che qualcuno lo ascolti.