La vita tranquilla di una famiglia parigina – padre di origine ebraica, madre e figlia adolescente – va in frantumi quando lui decide di vendere una cantina a un professore di storia che si rivela un negazionista antisemita. L’uomo, caduto in disgrazia dopo essere stato cacciato dall’insegnamento, usa la cantina come abitazione, e la sua silenziosa presenza sconvolge gli equilibri famigliari, mentre gli altri condomini assistono con sostanziale indifferenza allo scontro.
“L’homme de la cave”, del regista francese Philippe Le Guay, è arrivato in Italia con il titolo “Un’ombra sulla verità”, che vorrebbe essere evocativo, ma è meno efficace dell’originale. Tutto il film si gioca infatti sul contrasto tra l’appartamento solare dove vive la famiglia, simbolo di un benessere politicamente corretto, e la cantina umida e buia, dove si annida il male che ha il volto disfatto dell’attore François Cluzet. Ma a complicare le cose c’è il fatto che Cluzet è apparentemente un uomo mite e simpatico, mentre i membri della famiglia non lo sono. Lui, interpretato da Jérémie Renier, è un architetto molto impegnato, che ha preferito dimenticarsi delle oscure storie dei suoi nonni negli anni delle persecuzioni razziali. Lei, interpretata dalla brava Bérénice Bejo, prende così a cuore la vicenda da sembrarne quasi ossessionata. E la loro figlia adolescente, una Victoria Eber perfetta nella parte, nasconde sotto l’insicurezza anche qualche inaspettata crudeltà.
Le Guay si era già fatto apprezzare con un altro film dove un condominio diventava una metafora della vita. “Le donne del sesto piano” erano infatti le domestiche di origine spagnola che abitavano nelle camerette senza servizi di un sottotetto parigino, e scendevano le scale per servire le famiglie borghesi che le avevano assunte. Con “L’ombra sulla verità” conferma il suo impegno sociale, e anche la capacità di tenere fino all’ultimo lo spettatore con il fiato sospeso. Da vedere.
gbg