Un vizio di famiglia

Il romanziere e regista francese Sébastien Marnier predilige le storie dove i generi si confondono, i personaggi non sono quello che sembrano, e il confine tra il bene e il male non è ben definito. Era stato così con l’inquietante  “L’ultima ora”, dove un ignaro supplente giungeva in una classe di alunni superdotati in seguito all’inspiegabile suicidio di un professore. E lo stesso accade in “Un vizio di famiglia”, che ha incontrato il favore del pubblico ed è in programmazione  da parecchie settimana nelle sale italiane. 

Al centro della vicenda c’è una donna decisa a riallacciare i rapporti con il padre che l’aveva abbandonata ancora in fasce. Lei, interpretata dalla intensa Laure Calamy, lavora come operaia in uno stabilimento per la conservazione del pesce, la sua compagna è in carcere, ed è disperata perché non ha più una casa. Lui, un efficace Jacques Weber, è ricco, anziano e malfermo in salute. Assistito da una arcigna governante, vive in una lussuosa villa sull’isola di Porquerolles con l’ ultima moglie, una figlia e una nipote, ma i loro rapporti sono pessimi e le  tre donne vorrebbero farlo interdire. Il progetto subisce una battuta di arresto con l’arrivo della figlia dimenticata perché tra i due nasce una inaspettata complicità. Lui non è così malato da non rendersi conto della situazione, e lei nasconde sotto l’atteggiamento e gli abiti dimessi una fredda determinazione. Inoltre, dal carcere, la sua compagna non si da’ pace per la fine della relazione.

Il titolo francese del film, “L’origine du mal”, è decisamente più azzeccato di quello italiano. “Un vizio di famiglia” fa pensare a una storia lineare e al limite del banale, mentre Marnier gioca con gli spettatori addentrandosi nella mente contorta dei suoi personaggi, rovistando nelle loro debolezze e nei loro inconfessabili segreti. Il risultato, a parte qualche lentezza di troppo e una certa leziosità nella fotografia, è comunque godibile. 

gbg

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