Non è sempre detto che i film apprezzati nei grandi festival internazionali abbiano anche successo nelle sale, dove il pubblico non ha la stessa passione delle giurie per le raffinate scelte stilistiche e le citazioni colte.
“Un eroe”, del regista iraniano Asghar Farhadi, è un film in grado di mettere d’accordo tutti: gli spettatori e i giurati di Cannes che lo hanno premiato.
Rahim Soltani è un detenuto per debiti che torna a casa in permesso e decide di restituire alla proprietaria una borsa piena di monete d’oro trovata all’angolo di una strada. La storia, dopo un inizio un po’ in sordina, diventa tesa e appassionante. Per il suo gesto altruistico Rahim diventa l’orgoglio del quartiere e finisce in televisione, ma il creditore che lo ha fatto finire in carcere non ha la minima intenzione di rinunciare ai soldi. Nel tentativo di trovarli Rahim inanella ingenuità in serie, che gli fanno perdere il favore dell’opinione pubblica, ma non la dignità e l’amore della fidanzata e del figlio.
Farhadi ha vinto due Oscar al miglior film straniero, nel 2012 con “La separazione”, e nel 2017 con “Il cliente”. In Europa ha diretto Javier Bardem e Penelope Cruz nell’interessante “Tutti lo sanno”. Con “Un eroe” si conferma un grande regista, capace di raccontare le luci e le ombre dell’Iran attraverso storie di gente comune che non scadono mai nel didascalico. Per questo ha avuto qualche problema con i settori più integralisti del paese, che hanno cercato in tutti i modi di ostacolarlo. E anche gli Stati Uniti non lo hanno trattato bene: nel 2017, in quanto cittadino di un paese considerato nemico, non avrebbe potuto partecipare alla cerimonia degli Oscar. Rinunciò ad essere presente anche dopo la revoca delle restrizioni, con una bella lettera in cui denunciava l’accaduto e sottolineava il valore universale del cinema, “che può catturare le qualità umane, abbattere gli stereotipi e creare quell’empatia che oggi ci serve più che mai”.
gbg