Emmanuel Carrère, scrittore, sceneggiatore e regista francese di talento, riesce bene, ma non benissimo, in tutto quello che fa. E il suo ultimo film, “Tra due mondi”, lo dimostra: sicuramente da vedere non fosse altro che per la presenza di una bravissima Juliette Binoche, non regge il confronto con le migliori opere di Ken Loach, maestro indiscusso del cinema di denuncia sociale.
Il film di Carrére è ispirato a un libro della giornalista francese Florence Aubenas, che trascorse alcuni mesi tra i precari e sottopagati addetti alla pulizia dei traghetti sulla Manica: orari impossibili, ritmi di lavoro massacranti, garanzie inesistenti.
Binoche-Aubenas si immerge totalmente nel lavoro, condivide con le compagne le fatiche e il disgusto per le condizioni dei servizi igienici, come loro si spezza la schiena per completare nei quattro minuti richiesti il riordino di una cabina, sapendo che ne restano da fare altre cento. Ma scopre anche la solidarietà, l’allegria nei pochissimi momenti di pausa, la tenerezza di una collega per i figli che l’attendono a casa. E quando alla fine arriva la rivelazione, la spiegazione che l’inganno era necessario per scrivere un libro di denuncia, qualcuna la accetta e ringrazia, mentre altre si sentono tradite. Due mondi inconciliabili, che per qualche mese si erano incontrati, alla fine tornano a separarsi per sempre.
Binoche, senza trucco e appesantita nei tratti e nell’abbigliamento, è credibile e partecipe. Bravissime anche tutte le sue compagne, non professioniste che interpretano se stesse, mentre gli uomini hanno un ruolo più marginale. Tuttavia si ha l’impressione che al film manchi qualcosa. Forse è proprio l’inganno, sia pure a fin di bene, a lasciare nello spettatore un po’ di amaro in bocca. Forse a Carrère, raffinato e tormentato intellettuale figlio di una Accademica di Francia, manca un po’ della rabbia proletaria e militante di un Loach.
gbg