Poco pubblicizzato, e fuori concorso a Venezia, “Ariaferma” di Leonardo Di Costanzo è a mio parere un film bello e coinvolgente, nobilitato dalla maiuscola prestazione di due grandi attori come Toni Servillo e Silvio Orlando.
Siamo in un fatiscente carcere sardo sull’orlo della chiusura. Per un disguido burocratico dodici detenuti non trovano sistemazione altrove, e con loro resta un piccolo gruppo di agenti di custodia guidato da Servillo. La mensa è chiusa e il cibo arriva da un appalto esterno, ma è di pessima qualità e viene rifiutato. Per evitare una rivolta Servillo accetta di riaprire la cucina interna, e il camorrista Orlando, quasi a fine pena, si offre di cucinare per tutti, detenuti e guardie. Controllato a vista, improvvisa i piatti poveri e gustosi che il padre ristoratore gli aveva insegnato molti anni prima, e apre una breccia nella severa routine carceraria. Apparentemente tutto resta come prima, i ruoli vengono rispettati e le regole durissime della detenzione non cambiano, però nell’animo dei detenuti e degli agenti accade qualcosa, che viene evidenziato quando un black-out dell’impianto elettrico costringe tutti a muoversi alla luce delle torce.
“Ariaferma” quasi non ha trama. Si limita a raccontare con asciutto rigore la realtà del carcere, le storie individuali dei detenuti e quelle dei secondini che condividono la loro claustrofobica esistenza tra porte sbarrate, mura e corridoi.
Leonardo Di Costanzo non ha bisogno di calcare i toni. Si limita a riprendere con maestria il vecchio carcere e a sfruttare la bravura dei due protagonisti e degli altri interpreti: Fabrizio Ferracane, Salvatore Striano, Roberto De Francesco, Pietro Giuliano, Nicola Sechi, Leonardo Capuano, Antonio Buil Pueyo, Giovanni Vastarella. L’unica donna, Francesca Ventriglia, è la direttrice che compare per pochi minuti prima di lasciare gli occupanti del carcere al loro destino di maschi in gabbia.
gbg