Gli italiani si entusiasmano facilmente, e altrettanto facilmente dimenticano. Quello per Matteo Salvini, più che un innamoramento, mi pare una infatuazione. Come ha imparato a suo spese il Matteo che lo ha preceduto, Salvini potrebbe scoprire presto che con i tweet, le dichiarazioni roboanti e i pugni battuti sul tavolo non si va lontano, perché in un mondo complesso i problemi non hanno soluzioni semplici, e il primo dovere di chi governa è quello di agire avendo ben chiari gli obiettivi e le conseguenze delle sue azioni.
Non si può negare che la forsennata campagna di Salvini contro le ong dei migranti sia stata un successo di immagine. Il consenso per il suo piglio decisionista è andato oltre la platea delle camicie verdi che collezionano ampolle con l’acqua del Po, e i sondaggi danno oggi la lega molto al di sopra del 17% raccolto alle ultime politiche. Ma un conto sono i sondaggi, sempre influenzati dalle ultime vicende di cronaca, e un altro i voti reali.
Per quanto tempo la questione degli sbarchi resterà al centro dell’attenzione degli italiani? Tutti i dati dimostrano che in Italia non c’è una vera emergenza. E nessuno può seriamente pensare che la dubbia decisione di chiudere i porti alle navi di soccorso possa fermare il flusso di chi cerca in Europa un futuro migliore. La geografia non è una opinione: con o senza porti continueranno ad arrivare da noi perché le nostre coste sono facilmente raggiungibili, ma vogliono andare altrove, e su questo una politica intelligente dovrebbe puntare, ridiscutendo con i partner europei gli accordi sull’accoglienza. A giudicare dalle tensioni e dall’esito deludente degli ultimi incontri internazionali, però, è lecito dubitare che le urla della propaganda salviniana, così apprezzate in patria, lo siano anche fuori.
Anche sugli altri temi che ha toccato in queste prime settimane di governo Salvini non è andato per il sottile, sfoggiando un linguaggio da bar dello sport e dimostrando un sovrano disprezzo per le competenze altrui. Pensiamo alle roboanti dichiarazioni di politica estera, ai contraddittori annunci sulle tasse e le pensioni, alle sparate sui vaccini che il ministro della salute ha dovuto in tutta fretta smentire. Troppe esternazioni ad uso e consumo dei media, come se la campagna elettorale non fosse mai finita. Ma non si può governare con gli stessi metodi che si usavano quando si stava all’opposizione. Con tutti i suoi difetti e i suoi congiuntivi sbagliati Di Maio lo ha capito, e infatti si dimostra moderato nelle dichiarazioni pubbliche, e preferisce lasciar parlare i decreti, giusti o sbagliati che siano. Salvini no. E corre il rischio di essere travolto dalla forza delle cose, perché alla fine, in assenza di risultarti tangibili, perfino una opinione pubblica facilmente influenzabile come quella italiana potrebbe stancarsi di lui e del suo perenne movimentismo, molto diverso dalla immagine che la lega dà di sé nelle regioni dove governa e ha costruito la sua fortuna.
Non avverrà tanto presto. Ma avverrà, anche perché molti indizi fanno pensare che il Salvini pigliattutto sia piuttosto indigesto anche per i suoi partner di governo, che in parlamento sono forza di maggioranza relativa e hanno in mano molte carte per smorzarne ardori. Un aspetto che non dovrebbe essere trascurato da chi oggi si trova all’opposizione, e ancora non ha deciso quale politica seguire per uscire dall’angolo dove è stato cacciato dall’ottusa politica dei suoi leader. Ma questa è un’altra storia.
Battista Gardoncini