In Italia i documentari hanno poco mercato e per questo vengono spesso considerati un genere minore, più adatto alla televisione che al cinema. Ma ci sono le eccezioni. Con grande piacere, quindi, ho ritrovato in questi giorni su Raiplay “S come Stanley” di Alex Infascelli, che racconta molti aspetti inediti della vita del grande regista Stanley Kubrick attraverso la testimonianza di Emilio D’Alessandro, un italiano che per trent’anni gli è stato vicino come autista, tuttofare e amico.
Nel 2016 “S come Stanley” ha vinto il premio David di Donatello come miglior documentario. Per realizzarlo Infascelli ha impiegato tre anni, e si vede. Con l’aiuto di Emilio ha raccolto una grande massa di documenti e di cimeli. Lo ha intervistato nella sua casa di campagna di Cassino, dove si è ritirato, ma lo ha anche seguito a Londra e negli altri luoghi dove il suo rapporto di lavoro con Kubrick si è trasformato in una singolare e asimmetrica amicizia. Da una parte il regista geniale, impegnato in modo maniacale nella realizzazione dei suoi capolavori, e bisognoso di attenzione continua per tutti gli aspetti della vita quotidiana. Dall’altra la dedizione assoluta di un uomo semplice e schietto, che esegue senza discutere e per Kubrick trascura la famiglia.
Emilio guida, giorno e notte. Trasporta sotto la neve l’enorme e iconico fallo usato in Arancia Meccanica. Nutre i cani e i gatti del regista. Acquista le candele necessarie a dare la luce giusta agli ambienti di Barry Lyndon. Ripara gli elettrodomestici. Fotografa lo stabilimento del gas abbandonato alle porte di Londra dove viene girato Full Metal Jacket. Fa la spesa. In Eyes Wide Shut compare in un cameo, e Kubrick lo omaggia dando il suo nome a un bar frequentato da Tom Cruise.
Il sodalizio si interrompe il 7 marzo 1999, quando Kubrick muore per un infarto. Emilio torna in Italia con i suoi ricordi.
gbg