Confinata su RAI2, la serie televisiva dedicata allo scontroso vicequestore Rocco Schiavone avrebbe meritato una fortuna almeno pari a quella del commissario Montalbano. E’ ben fatta, ben recitata e originale nelle trame che si basano sui fortunati gialli di Antonio Manzini, pubblicati da Sellerio. Però il suo share si attesta attorno a un 10% che è buono per la rete, ma non tale da fare concorrenza al personaggio creato da Andrea Camilleri.
Così è accaduto anche per le due puntate dell’ultima serie, prodotte in piena emergenza Covid e andate in onda qualche settimana fa. Chi le avesse perse può rivederle insieme a tutte le altre su Prime Video, e non se ne pentirà. Ma è importante procedere in sequenza, perché alcuni personaggi sono ricorrenti e le vicende si intersecano.
Schiavone, romano purosangue, è stato trasferito ad Aosta per punizione. È un poliziotto particolare, che fuma spinelli e ha una morale molto elastica. A volte mente. A volte picchia. A volte forza qualche serratura per cercare le prove, e non si tira indietro se gli capita di mettere le mani sulla refurtiva sequestrata. Ma è anche un ottimo investigatore, che non sopporta le ingiustizie e combatte l’ipocrisia dei ricchi e dei potenti.
Tutte le sue imprese si svolgono ad Aosta, ma il cuore è rimasto a Roma, dove i suoi migliori amici vivono ai margini della legge, e dove aveva una moglie amatissima uccisa in un agguato che aveva lui come bersaglio. La moglie è una presenza costante nei suoi sogni. Lo guida e lo incita senza troppo successo a rifarsi una vita. Schiavone ci prova, e passa da una donna all’altra. Ma alla fine torna sempre da lei.
Come Zingaretti con Montalbano, Marco Giallini è perfetto nella parte di un poliziotto disincantato e sostanzialmente incapace di adattarsi alle convenzioni sociali. E, per una volta, l’accento romanesco che imperversa in tutte le fiction RAI è pienamente giustificato.
gbg