“Processo ai Chicago 7”, di Aaron Sorkin, coprodotto da Steven Spielberg, è uno bel film di impegno civile, in corsa per gli Oscar. I nostri distributori devono aver pensato che la vicenda narrata non fosse abbasta interessante per il pubblico italiano, ed è rimasto in programmazione per pochi giorni. Ma per fortuna Netflix lo sta riproponendo, e vale davvero la pena di vederlo.
Era il 1968. Robert Kennedy era appena stato ucciso. A Chicago il partito democratico stava tenendo la convention che avrebbe indicato come candidato alla presidenza Hubert Humphrey, poi sconfitto da Nixon. I pacifisti esasperati organizzarono cortei e manifestazioni che sfociarono in violenti scontri con la polizia e la Guardia Nazionale. Come riconobbe il procuratore generale dell’epoca, di nomina democratica, gli organizzatori non avevano alcuna responsabilità, e semmai fu la polizia, con le sue continue provocazioni, a dare inizio alle violenze. Ma la nuova amministrazione Nixon la pensava diversamente, e sette attivisti, insieme al leader delle Pantere Nere Bobby Seale, finirono in carcere e furono processati. Come disse uno di loro, non per quello che avevano fatto, ma per quello che rappresentavano.
Il film, teso e avvincente, ricostruisce il clima dell’epoca, i rapporti non sempre facili tra imputati che avevano impostazioni politiche diverse, e il lunghissimo processo, dall’esito segnato per la parzialità del giudice Hoffman, le false testimonianze e le intimidazioni. Tali e tante furono le irregolarità, che due anni dopo la sentenza di appello ribaltò il verdetto.
Magnifica la regia di Sorkin. Ottimi gli attori, tra cui spiccano Sacha Baron Cohen nella parte dell’imputato Abbie Hoffman e Frank Langella in quella del giudice suo omonimo. Spielberg voleva dirigere il film già molti anni fa. E non è certo un caso che abbia deciso di produrlo in concomitanza di un’altra decisiva campagna elettorale.
gbg