Non morirò di fame

Non è sempre detto che un film pieno di buoni sentimenti sia anche un buon film. Però “Non morirò di fame”, di Umberto Spinazzola, lo è. E nella storia dell’ex chef stellato Pier, caduto in disgrazia e alla ricerca di un difficile riscatto, i buoni sentimenti sparsi a piene mani non solo non infastidiscono, ma commuovono e fanno riflettere. 

Spinazzola è il regista della fortunata serie televisiva Masterchef, quindi di cibo se ne intende e sa come riprenderlo. Gli appetitosi piatti di Pier, ridotto a vivere in una baracca e a cercare le materie prime tra i rifiuti del mercati per nutrire i pochi amici che gli sono rimasti, sono un atto di denuncia del mondo vuoto dell’alta cucina e della società dello spreco. La nuova consapevolezza del protagonista, ottimamente interpretato da un Michele Di Mauro che ha il solo limite di essere un po’ troppo in salute per la parte, si sviluppa grazie alla filosofiche riflessioni di un ex falsario reduce dal carcere che ha il volto intenso di Jerzy Stuhr. L’esordiente Chiara Merulla è la figlia quindicenne di Pier, che ha abbandonato lei e la madre dopo il fallimento del suo ristorante. Ma la morte della donna riapre un rapporto che sembrava chiuso per sempre.

“Non morirò di fame” è stato interamente girato a Torino e Carignano, lungo le sponde del Po. Alcune ingenuità, come le fastidiose dissolvenze a bianco che precedono i flashback sulla crisi esistenziale del protagonista, non compromettono la qualità di una fotografia capace di restituire nuova vita a luoghi noti. Ma è tra i fornelli, anche quando sono dei modesti camping gas e le pentole sono ammaccate, che Spinazzola dà il meglio di sé. La bagna cauda con cruditè raccolte nei bidoni della spazzatura è indimenticabile, come la trippa con i pomodori di recupero e le bucce di patate fritte. E l’affascinante danza delle mani che le preparano, tante volte vista in Masterchef, qui è qualcosa di più del puro intrattenimento.

gbg

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