Presentato a Venezia, dove l’attore protagonista Luca Marinelli è stato premiato, è in questi giorni nelle sale “Martin Eden” del regista campano Pietro Marcello. La vicenda, che Jack London nell’omonimo romanzo aveva ambientato nella California dei primi anni del Novecento, è trasferita a Napoli, ma la trama è la stessa: un giovane marinaio salva il rampollo di una ricca famiglia, si innamora della sorella, e con l’aiuto di lei scopre la letteratura e le moderne teorie evoluzionistiche. Affascinato dal potere della parola, si dedica anima e corpo alla scrittura, vivendo di stenti nella speranza che qualcuno pubblichi i suoi lavori, mentre si confronta con i fermenti sociali dell’epoca e si avvicina alle lotte del movimento operaio, che non esita a criticare nel nome nome del più rigoroso individualismo. Le sue posizioni lo allontanano dalla fidanzata, e anche dagli amici di un tempo. E quando alla fine arriva il successo, che lo sradica definitivamente dalle radici popolari, scopre quanto esso sia vano, e quanto la sua vita sia diventata vuota.
Il Martin Eden di Jack London aveva molti elementi autobiografici. Anche London in gioventù era stato povero. Anche lui era autodidatta. Anche lui si era emancipato ed era diventato ricchissimo grazie all’enorme successo dei suoi libri. E anche lui non riuscì mai a liberarsi del male di vivere che alla fine lo portò all’alcolismo e alla morte. È però lecito pensare che questa ennesima trasposizione cinematografica della sua opera – se ne ricorda una del 1942 che ebbe Glenn Ford come protagonista – lo avrebbe lasciato perplesso, perché il film non ha la linearità del romanzo e a volte si perde in preziosismi che possono piacere a un cinefilo, ma disperdono l’attenzione dello spettatore medio. Pietro Marcello ha realizzato in passato notevoli documentari, ma la cifra stilistica del film, e cioè l’uso di suggestivi filmati d’epoca per ambientare il racconto, risulta a volte un po’ forzata. Comunque un film da vedere.
gbg