L’uomo della pioggia

Nel 1995 John Grisham, celebre autore di gialli giudiziari ambientati nel profondo Sud degli Stati Uniti, scrisse  “The Rainmaker”, l’uomo della pioggia,  come nel gergo legale viene chiamato un avvocato che ha per le mani una causa in grado di portare a un risarcimento milionario. Due anni dopo Francis Ford Coppola, reduce dai successi planetari de “Il Padrino” e di “Apocalypse Now”, ne ha tratto un film con lo stesso titolo, che da pochi giorni si può vedere o rivedere su Netflix.

Un giovanissimo Matt Damon interpreta Rudy Baylor, un aspirante avvocato costretto a lavorare come barista per pagarsi gli studi. Baylor incontra una madre il cui unico figlio sta morendo di leucemia e la convince a fare causa alla potente compagnia di assicurazioni che le ha ingiustamente negato i fondi per un costoso trapianto di midollo. Il film racconta la loro impari battaglia giudiziaria per ottenere un risarcimento tardivo, ma sacrosanto. 

Nel cast recitano anche i bravi Danny De Vito, nei panni di un paralegale perfettamente a suo agio nel sottobosco dei tribunali, e Jon Voight, odioso quanto basta per interpretare lo spregiudicato capo del team di difensori messo in campo dalla compagnia di assicurazioni. Claire Danes è la ragazza maltrattata da un marito violento e ubriacone  di cui Baylor si innamora, Danny Glover il giudice nero che conduce il processo.

Coppola, come Grisham, è un liberal consapevole dei problemi che si agitano sotto la superficie del sistema di vita americano, ed è molto critico di fronte all’ingiustizia sociale e allo strapotere dei soldi. Il punto di forza di “The Rainmaker” è l’accurata e critica descrizione di una procedura giudiziaria volutamente farraginosa, dove il cinismo e le giuste conoscenze contano più degli ideali, e non è affatto detto che la giustizia trionfi. E alla fine resta sempre un po’ di amaro in bocca.

gbg

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