Ad Alcarràs, un paesino catalano dove i frutteti sono in crisi e stanno cedendo il passo al fotovoltaico, la famiglia Solé è stata sfrattata ed è impegnata nel suo ultimo raccolto. Adulti, anziani e bambini sono profondamente legati alla tradizione, ma devono fare i conti con la realtà dirompente delle ruspe che spianano il terreno per fare spazio ai pannelli. Le loro identità e le loro speranze rischiano di essere cancellate, e ognuno reagisce a modo suo. Ed ecco il nonno che spera ancora di poter risolvere tutto come ai vecchi tempi, quando bastava una stretta di mano per mettersi d’accordo; il padre che si ribella ma non sa dove incanalare la sua rabbia; il figlio grande che lavora sodo, ma non disdegna le serate in discoteca e coltiva di nascosto la marijuana; la figlia che scopre quasi con sorpresa di essere bella. E soprattutto i tre cuginetti, che nei frutteti vivono fantastiche avventure di guerra, ma quando serve vengono chiamati a dare una mano alla raccolta.
“Alcarràs”, della giovanissima e talentuosa regista Carla Simón, ha vinto con merito l’Orso d’Oro al festival di Berlino. Due ore di buon cinema, dove i percorsi individuali dei protagonisti si intrecciano con la descrizione di un mondo che scompare, raccontato con grande affetto e scrupolo documentario. Lei è nata a Barcellona, ma una parte della sua famiglia ha lavorato la terra proprio come i Solé, ed è fin troppo facile rintracciare nei deliziosi giochi campestri dei bambini l’eco di altri giochi vissuti in prima persona.
Nel cast non ci sono attori professionisti. La regista ha cercato tra gli abitanti del luogo gli interpreti adatti a restituire allo spettatore lo spaccato di un mondo destinato a scomparire, e li ha trovati. Non ci sono note stonate nei loro volti, nei loro gesti quotidiani e nella aspra cantilena del catalano, che si può apprezzare appieno perché il film viene proposto in lingua originale con i sottotitoli.
gbg