E’ arrivato in questi giorni nelle sale italiane “L’ultimo lupo” del regista francese Jean-Jacques Annaud, una coproduzione franco-cinese tratta dal best seller “Il totem del lupo”, che nelle classifiche di vendita in Cina è secondo soltanto al libretto rosso di Mao Tse Tung.
Ambientato nelle steppe mongole negli anni della rivoluzione culturale, il film racconta la storia di uno studente di Pechino mandato ad alfabetizzare una piccola tribù nomade che vive in simbiosi con la natura, rispettandone i ritmi e i delicati equilibri. Ma la cose cambiano a causa dell’arrivo di nuovi coloni, e i lupi, affamati per la sparizione delle loro prede tradizionali, diventano una minaccia per gli uomini e per le loro greggi. La saggezza del vecchio capo della comunità e l’amore dello studente per una donna del villaggio saranno messi a dura prova dall’arrivo di un cucciolo di lupo nell’accampamento.
Il film è da vedere per la bellezza dei luoghi, la splendida fotografia e la grande abilità degli addestratori, che con i loro animali hanno permesso di ricostruire nei dettagli la vita dei lupi e le gerarchie che regolano il gruppo. Memorabile, in particolare, la scena dell’attacco notturno dei lupi a una mandria di cavalli. Decisamente meno interessante la trama, un po’ troppo scontata. Ma anche in questo film Annaud è riuscito nel suo intento: farci pensare alla bellezza della natura e ai rischi che corre per l’avanzare del cosiddetto progresso. Scusate se è poco.