Il giovanissimo Ahmed vive in Belgio in una famiglia musulmana che ha adottato uno stile di vita occidentale, ma frequenta con fervore una moschea guidata da un imam radicale, che gli indica come esempio da seguire un cugino martire del terrorismo. Dopo un goffo tentativo di uccidere una insegnante che vuole allontanarlo dalla nefasta influenza dell’imam finisce in un centro correzionale, dove educatori e psicologi cercano di fare breccia nei suoi pensieri anche attraverso il lavoro in una fattoria didattica. Qui conosce una ragazzina che si innamora di lui, ma la ricerca di un nuovo equilibrio è faticosa e difficile.
“L’età giovane” dei fratelli Jean-Pierre e Luc Dardenne, premiato a Cannes per la miglior regia, affronta il tema del fondamentalismo islamico attraverso una vicenda apparentemente minore, ma colpisce per la forza di una narrazione che spiega meglio di tante pretenziose analisi socio-politiche la genesi del fenomeno.
I Dardenne avevano annunciato le loro intenzioni dopo i sanguinosi attentati del marzo 2016 in Belgio, suscitando anche qualche gratuita polemica. Due anni dopo è arrivato questo film splendido e angoscioso, che conferma la loro straordinaria capacità di scavare nelle pieghe più oscure della società, senza nulla concedere alla retorica del didascalico e del politicamente corretto.
I due fratelli hanno un passato di documentaristi, e nella maggior parte dei loro film si affidano ad attori non professionisti. “L’età giovane” non fa eccezione. Interpretano se stessi, ad esempio, i genitori immigrati che discutono in una tesa assemblea se è lecito che i loro figli studino l’arabo sui testi delle canzoni moderne anziché sul Corano. Ed è magnifica la prova dell’esordiente Idir Ben Addi, protagonista sempre in primo piano, che è stato scelto dopo centinaia di provini e riflette nel volto adolescenziale e nei gesti ossessivi delle abluzioni e delle preghiere tutto il tormento di una trasformazione imposta e purtroppo intimamente accettata.
gbg